Le targhe mi hanno sempre attirato.
Nelle varie forme che hanno avuto, mutate nel tempo secondo le esigenze di catalogazione nel Pubblico Registro, le ho sempre vissute come codici che potevano nascondere significati.
Per cominciare, da amante dei palindromi ho sempre cercato i numeri che si leggono sia da sinistra a destra che nell’altro senso. Ho avuto anche il privilegio di possedere un’auto con la targa palindroma: SI 126621. La mia primissima auto, un vecchio maggiolino VolksWagen bianco che, purtroppo, è defunto quando un albero mi ha attraversato la strada in uno sterrato di campagna. Nell’impatto io ci ho rimediato un brutto mal di schiena per qualche giorno, ma la vettura ha esalato l’ultimo respiro, e non mi è più capitato di riavere una targa palindroma.
Quando facevo lunghi viaggi in macchina con la famiglia, usavamo le targhe delle macchine che ci sorpassavano per giocare a poker, un divertente modo per svagarsi tra una cantata in coro e una gara a chi trovava più città o animali con una certa iniziale.
Da quando le targhe hanno assunto l’odierna forma con due lettere, tre cifre e altre due lettere ho cominciato a intravederci messaggi verbali. Bastava leggere gli zero come se fossero lettere O e gli uno come se fossero lettere I, ed ecco che le macchine cominciavano a parlare.
Così è nato il libriccino di cui avete visto sopra la copertina: per raccogliere i brevi racconti, le grida e le considerazioni che, attraverso le targhe, ci fanno le nostre vetture. Cominciate ad ascoltarle anche voi, magari ne troverete altre che io non sono riuscito a cogliere.
Abitando a Livorno, mi è stato inevitabile cominciare a cercare anche targhe che parlassero col vernacolo locale.
Si sa che a noi toscani fa fatica pronunciare la lettera C dura, quando si trova tra due vocali. Alcuni la aspirano, tipo i fiorentini e i senesi. Nella città labronica, infilando qua e là l’abituale intercalare “dé”, la eliminano proprio. Così la casa diventa ‘asa, le cose diventano ‘ose e le chiacchiere diventano ‘iacchiere.
Il parlato toscano in genere prevede anche l’uso di un ’E rafforzativo della frase, come in “Che fo? ’E mangio!”
Perciò, se trovate una targa che apparentemente dice cose senza senso, provate a infilarci mentalmente qualche C, un E rafforzativo o un Dé, e magari scoprirete che si tratta solo di una targa che parla livornese e dunque la frase un significato ce l’ha!
Sulla parlata di Roma, invece, non sono molto ferrato. Certo, dopo decenni di “romanerie” al cinema e in tivù qualcosa ho assimilato, ma non ci metterei la mano sul fuoco sulla bontà del romanesco delle targhe che mi sono comunque azzardato a infilare in questa raccoltina. Se ho forzato qualcosa... perdonatemi. In fondo non si tratta mica di un trattato linguistico, è solo un libriccino con la pretesa di strappare qualche sorriso come è nel programma della collana.
Insomma, un piccolo e spassoso libretto (in vendita solo su Amazon) che può diventare un simpatico e gradito regalo per amici, conoscenti e parenti per ridere insieme.