mercoledì 6 agosto 2025

Braccio di Bud


Dopo aver letto tutte le strisce del Popeye di Segar, recentemente ho preso i quattro numeri pubblicati dalla Cosmo del Braccio di Ferro scritto e disegnato da Bud Sagendorf.
Anche se era stato stretto collaboratore dell'Autore del personaggio, alla scomparsa del creatore strisce e tavole domenicali non vennero affidate a lui, ritenuto troppo giovane, ma a Doc Winner e Tom Sims. Il momento di Bud arrivò solo dieci anni più tardi, nel 1948, quando cominciò a lavorare alla produzione per i quotidiani dopo quella che già realizzava per i comic book.





In passato avevo letto alcune di quelle brevi storie su varie pubblicazioni (a memoria direi su Vitt e su il Giornalino) e non mi avevano mai entusiasmato. Il disegno di Sagendorf è pulito, professionale, piacevole. Ma, come sempre succede quando si viene incaricati di continuare il lavoro di un altro autore, scatta l'inevitabile ingessatura del personaggio che si è ereditato. E, anche quando da ragazzo sapevo poco o niente della storia editoriale di Braccio di Ferro, questo limite già lo "sentivo": in quelle storie il marinaio e i vari coprotagonisti erano poco più che macchiette congelate nei loro ruoli e disegnate un po' "a macchinetta".


Devo dire che la lettura della produzione per il syndicate mi ha un po' riconciliato con l'autore di Wenatchee. Avendo maggiore spazio per sviluppare trame più complesse, nelle strip Sagendorf dimostra di aver ben assimilato la lezione del maestro costruendo spesso storie surreali e scombinate che non fanno rimpiangere eccessivamente quelle di Segar anche se, certo, si naviga diverse spanne più in basso, triste destino della continuazione di personaggi seriali.




Sagendorf si prende anche delle libertà sulla continuity come quando racconta dell'amore nato tra il marinaio e Olivia quando erano compagni di scuola, mentre sappiamo bene che si sono incontrati solo in età adulta dopo che il fratello di lei aveva assunto Popeye per un'avventura in mare.


Nota di demerito per il traduttore/traduttrice che già dalla prima pagina si perde in un conteggio da prima elementare (forse la frase di Olivia in originale era "Se io ho due mele e tu ne hai il doppio..."?), e non migliora nei volumi successivi. Lavoro frettoloso perché pagato poco? Di questi tempi, niente di più probabile.







Specialmente Zagor

 

Tra il 2013 e il 2014, sulla collana Zagor Collezione Storica a Colori edita da Repubblica (col solito, finto "abbinamento" al quotidiano) sono state ripubblicate in versione colorata e in grande formato tutte le storie dello Spirito con la Scure che avevo scritto dal 1982 al 1993.
La pubblicazione è poi andata avanti riproponendo tutti i successivi albi stampati da Bonelli (fino al n. 500 della serie originale) per poi interrompersi col n. 187, almeno momentaneamente. Dal 17 settembre di quell'anno, ogni settimana, la collana ospitò invece la ristampa degli "Speciali" di Zagor. Io, ventisette anni fa, ebbi la ventura e il piacere di tenere a battesimo la nuova pubblicazione di casa Bonelli con l'avventura "Zagor alla riscossa", disegnata da Gallieno Ferri, e fui autore dei testi anche dei due numeri successivi, "La pietra che uccide" e "La città sopra il mondo".




Nel mio libro di "memorie zagoriane" di cui vedete più in basso la copertina, ricostruivo così la genesi di quelle storie:
"Prima di abbandonare per sempre lo Spirito con la Scure ho avuto la soddisfazione di tenere a battesimo e portare avanti per tre anni la prima pubblicazione “parallela” di Zagor dopo i volumetti dedicati a Cico.
Quando mi fu chiesto di scrivere la sceneggiatura del primo, pensai che per una pubblicazione “speciale” sarebbe stato bello riportare in scena alcuni vecchi personaggi.
Cominciai con Guitar Jim e proseguii con i Sullivan e Satko. Ci voleva anche il ritorno di un villain, le cui fattezze celai dietro una maschera di cuoio che nascondeva il viso già deturpato da orribili ustioni. Nel finale, per permettere a Zagor di salvare l’amico Satko dalla minaccia di “Faccia di cuoio”, mi sono ricordato di un trucco dei pistoleri di cui avevo letto sulla già citata Colt 45, il “frullo del bandito”, consistente nel porgere all’avversario la propria pistola col calcio in avanti ma tenendo il dito nell’anello del grilletto e, improvvisamente, farla ruotare e far fuoco.
Ne venne fuori una storia che, anche a rileggerla dopo tanto tempo, mi pare meritasse quell’appellativo di “Speciale”.
L’anno successivo, invitato ad attenermi al tema del libriccino allegato, “Tesori perduti”, non potevo che far tornare alla ribalta Digging Bill. A un certo punto della storia recuperai una “trovata” contenuta nel soggetto bocciato di cui ho detto nel settimo capitolo e che vedeva Digging Bill scendere per una ripa scoscesa a cavallo di un tronco. Lì era solo e lo stratagemma gli serviva per arrivare al suo “tesoro” prima degli altri, qui è insieme a Zagor e Cico e i tre usano questo sistema per sottrarsi all’assalto dei guerrieri Wuwukam. L’espediente, che era stato il punto più “topolinesco” rimproveratomi da Canzio, qui pare aver trovato invece un utilizzo sufficientemente drammatico da giustificarne l’uso. D’altronde, come ho spiegato in un capitolo precedente, la mia interpretazione di Digging Bill aveva perso quegli elementi un po’ macchiettistici di bonaria follia, e in quest’avventura me lo sono giocato come un individuo ridotto senza un soldo in tasca che viene momentaneamente abbagliato dalla possibilità di arricchirsi. Magari per potersi poi gettare in nuove “pazze” ricerche senza problemi economici. Qualche lettore non ha gradito questa lettura apparentemente avida del personaggio, ma tant’è.
Il terzo e ultimo Speciale da me scritto aveva come tema “Le terre immaginarie”. Ancora una volta c’è il ritorno di un vecchio personaggio, e in questo caso si tratta quasi di una chiusura del cerchio. All’inizio della mia collaborazione con la Bonelli c’era stato infatti il “passaggio di testimone” con le quattordici tavole scritte da Bonelli e di cui io dovevo realizzare il seguito. Quelle pagine rimettevano in campo, insieme ai due frati, il simpatico barone Icaro La Plume. E nello Speciale intitolato “La città sopra il mondo” lo strampalato fanatico del volo torna a far compagnia a Zagor e Cico, stavolta a bordo del suo Catamarano Volante, un dirigibile a doppio “pallone” col quale il terzetto approderà sulla cima di una montagna dove sopravvivono i discendenti di un’antichissima civiltà che ha ripudiato la violenza, ma si trova costretta dopo tanto tempo a farci di nuovo i conti.
Tutti e tre gli Speciale Zagor sono stati disegnati da Gallieno Ferri che realizzò naturalmente anche le copertine. Personalmente trovai bellissima quella del primo numero, un po’ meno convincenti le altre due. Va però detto a difesa del disegnatore ligure, che da sempre considero un mago delle copertine, che quelle degli “speciali” soffrivano di un eccesso di titoli, titolini e inserimenti vari che certo non facilitavano il lavoro del copertinista."


Mentre in quegli anni attendevo di rileggere in versione colorata quelle storie quasi dimenticate che vengono ristampate per la prima volta, un giorno, dando la notizia su Facebook del ritorno degli "Speciali", riflettevo su come la ristampa delle storie del Signore di Darkwood fatta direttamente da Sergio Bonelli tra il 1986 e il 1998 con la collana tuttoZagor fosse stata costretta a cessare le pubblicazioni per le vendite troppo basse (circa 11.000 copie a numero che, come mi disse all'epoca il direttore editoriale Decio Canzio telefonandomi per informarmi della chiusura della testata, non bastavano "neanche a pagare i costi di stampa"), mentre oggi, pur vendendo da mesi, a quanto mi risulta, più o meno lo stesso numero di copie, la ristampa di Repubblica va tranquillamente avanti.
Evidentemente la differenza sta tutta nella diversità del progetto editoriale: intanto per tuttoZagor l'editore pagava generosamente i diritti di ristampa agli autori, e a cifra fissa, cioè indipendentemente dalle vendite; Repubblica invece paga alla Bonelli una percentuale sul prezzo di copertina in base al numero di copie vendute, come è consuetudine nell'editoria libraria. Una fetta di questa percentuale viene poi girata dalla Bonelli agli autori. Dunque, se calano le vendite, calano anche i costi per l'editore, mentre per tuttoZagor i diritti erano un costo fisso che "ingessava" i conti e contribuì a condannare la testata. Poi, tuttoZagor veniva venduto al normale prezzo "popolare" degli altri albi Bonelli, mentre la Collezione Storica a Colori di Repubblica (pur con carta di lusso, grande formato, colore ecc.) ha un prezzo "da libro", e per i libri più di diecimila copie sono comunque un buon venduto che consente all'editore di andare avanti. Per la gioia di tutti gli appassionati.



venerdì 11 luglio 2025

Quante volte, Calamity?


Sono più d'uno, i personaggi storici dell'epopea western che hanno vissuto varie vite nel mondo del fumetto, in Italia e all'estero. Il più famoso, anche perché ha portato pure in Europa il suo circo, è sicuramente Buffalo Bill, molto presente - come protagonista o in apparizioni momentanee - in molte pubblicazioni, a cominciare dall'Intrepido dove in periodi in cui l'inglese era poco praticato nel nostro Paese aveva perso una delle F del nome.









Altrettanta fortuna editoriale ha avuto Davy Crockett, trapper, esploratore e tra i difensori di Fort Alamo, protagonista anche di molti film e produzioni televisive. Personalissima l'interpretazione che ne dette Guido Martina in Pecos Bill facendone la spalla dell'eroe, attempato panzone barbuto sopravvissuto ad Alamo, sporco, bevitore e sbruffone. 










Un terzo è sicuramente Kit Carson, graficamente caratterizzato tra i primi da Albertarelli e poi portato alla grande popolarità in veste di "pard" di Tex Willer, passando per una testata della Dardo e altre incarnazioni fumettistiche.








Tutti uomini, come si vede. D'altronde nel Far West la figura femminile era relegata in ruoli di madre, insegnante o prostituta. Fu sempre Guido Martina a portare una delle pochissime eccezioni, Belle Starr, come coprotagonista nella breve serie a fumetti Oklahoma.



La donna che si è guadagnata maggiore spazio nel mondo delle vignette è però senza dubbio Calamity Jane. Il suo vero nome era Martha Jane Canary-Burke. Nata nel Missouri, aveva ereditato dal padre il vizio del gioco al quale aveva aggiunto l'alcolismo e altre sregolatezze. Guida di carovane, scout dell'esercito, cercatrice d'oro e star del Wild West Show di Buffalo Bill, abile con le armi e ottima cavallerizza perdeva però ogni volta i suoi impieghi per il continuo stato di ubriachezza.



Presente già dal Dopoguerra in edicola in Italia col nome in testata, è stata poi compagna d'avventure, innamorata non corrisposta, di Pecos Bill (ancora Martina!) e titolare di serie di una collana di tascabili sexy coi disegni di Zuffi e Ingam. Inevitabilmente è anche apparsa come i precedentemente visti nella Storia del West di D'Antonio.









Oltralpe sembra essere una beniamina degli editori che l'hanno messa spesso in copertina nella locale edizione di Pecos Bill, facendola poi protagonista di varie serie e volumi one shot. Senza dimenticare l'episodio di Lucky Luke che le hanno dedicato Morris e Goscinny.









Ho deciso di dedicarle questo post quando l'ho ritrovata in uno dei volumi ricevuti per il mio compleanno, "Chiens de prairie" di Berthet e Foerster, pubblicato da Anspach.
A dire il vero qui non è protagonista. Apre e chiude il racconto di cui è comunque narratrice. La vicenda principale è incentrata sulle figure di J. B. Bone e Mosé. Il primo è un ubriacone, rapinatore di banche e assassino. Il secondo un ragazzino sordomuto che proprio Calamity Jane avrebbe dovuto accompagnare in un istituto per minori con altri resi orfani da una terribile epidemia di vaiolo a Deadwood. Ma la donna se lo perde dopo aver condiviso il bivacco col bandito, a sua volta in viaggio per riportare al paese il cadavere del complice ucciso durante un hold up. Prima di morire, l'amico Ben Donnigan gli ha infatti estorto la promessa di seppellirlo a Kaiser Rock accanto all'amata. Rimasto solo, Mosé si aggrega a J.B., sulle cui tracce si muove un gruppo di cacciatori di taglie capitanati da Salomon Wallace, un fanatico religioso, e sua sorella Moira...


La storia è bella, potrebbe diventare tranquillamente un film western teso e sanguinolento con venature macabre, o una miniserie televisiva. I colpi di scena non mancano e la tensione resta viva fino alla conclusione. Lo sceneggiatore usa con abilità il doppio registro della scrittura in prosa con l'uso di molte didascalie (in forma di lettera di Calamity Jane alla figlia) e delle cinematografiche sequenze d'azione. Decisamente in linea coi desiderata che ho espresso nel lungo intervento sulla didascalia nel volume "La testa tra le Nuvolette".


Molto piacevoli ed efficaci i disegni di Philippe Berthet, che ha voluto con forza questo tuffo nel western coinvolgendo l'amicollega Foester. Ho particolarmente apprezzato alcuni geometrici montaggi delle vignette nella tavola.




Buon lavoro pure quello del colorista Dominique David che riesce a rendere bene il senso della polvere, della terra e degli abiti lisi che caratterizzavano la vita in quei contesti. Nelle scene notturne - e sono una buona parte - i toni sono forse un po' troppo scuri e rischiano a tratti di annegare il disegno, sulla pur bella carta granulosa usata per la stampa. Contro le abitudini tecnologiche attuali, la colorazione è analogica, "alla vecchia maniera", fatta con colori ad acqua Colorex, come spiega l'autore nei ricchi redazionali finali. 


Insomma, un libro godibile a tutti i livelli che conferma la bontà delle produzioni di questa casa editrice che ho scoperto solo recentemente e di cui vi ho già parlato