Fa una strana impressione guardare il calendario e scoprire che sono passati venticinque anni da quando si è iniziato a lavorare dopo aver passato quella che appariva già una vita in scuole di vario ordine e grado.
Un quarto di secolo.
Nel mio caso, in compagnia di vignette, pagine e storie disegnate.
Superato lo sbigottimento per il traguardo raggiunto, il primo pensiero è una gran voglia di festeggiare.
E con chi, se non con quelli che rappresentano "l'altra faccia" della medaglia del mestiere di chi fa fumetto, e cioè i lettori, quelli che giustificano la nostra esistenza di autori leggendo e/o guardando i nostri lavori?
Certo, sarebbe bello poter raggiungere tutti quelli che, in così tanto tempo, hanno incrociato attraverso le pagine di un giornale a fumetti la loro vita con la mia (sono centinaia di migliaia: pensiero terribile!), ma non è possibile. Così ho dovuto accontentarmi delle poche migliaia che mi hanno seguito su Fumo di China, unico pulpito che sono fin qui riuscito a guadagnarmi. E per loro ho approntato, insieme a Spiritelli che mi ha finalmente fatto un'intervista da lungo tempo promessa, questo inserto speciale nel quale spero che nessuno veda un gesto di improvvisa megalomania, ma solo un bicchiere levato in un ideale e sincero brindisi cartaceo, come quello del disegno di copertina.
Per preparare questo inserto ho dovuto buttare all'aria tutti i miei cassetti, un paio di scaffali della libreria e... la scatola da scarpe dove conservo gelosamente i giornaletti che disegnavo nell'infanzia e nell'adolescenza.
Ripercorrere la mia disordinata, eterogenea carriera di fumettista è stato da una parte emozionante (quante cose piccole e grandi che dormivano semidimenticate in un angolo della memoria e che son tornate di colpo vive, restituendomi tante sensazioni passate!), dall'altra spesso sorprendente: una scoperta tra tutte, il fatto che io abbia dato spesso ai miei personaggi la doppia iniziale S che ho dato anche alla mia più recente creatura, Shanna Shokk; prima di lei erano infatti venuti Sonny Sold (1979), SuperStrunz (1986) e Sonia Strip (1993). Ci sarà qualche motivo inconscio, dietro?
Comunque, in occasione di questa ricorrenza, con l'apparizione (e il completamento) di Dante su Il Giornalino a 25 anni esatti dal suo debutto su Off Side, in qualche modo si è chiuso un periodo della mia vita professionale.
Spero che quello nuovo che si sta aprendo duri almeno altri 25 anni, e che siate tutti lì a festeggiarlo con me. Tra un quarto di secolo. Per ora... cin cin!
Marcello Toninelli
È proprio così, il nostro editore compie il suo primo quarto di secolo da fumettista e nell’occasione FdC non poteva mancare di festeggiarlo con questa chiaccherata che ripercorre i momenti salienti della sua carriera. Ne emerge una personalità decisa (da vero toscano, sa essere piuttosto testone quando è convinto di aver ragione), ma anche disponibile al dialogo costruttivo, al lavoro di squadra. Persona scomoda, per l’abitudine di dire sempre quel che pensa, ha collaborato con molti editori importanti e il suo curricolo è tutt’altro che esiguo. Alla base di tutto c’è naturalmente, un grande amore per il fumetto e questo è il motivo per cui, pur tra qualche baruffa, siamo riusciti a lavorare insieme a questo giornale che dà tanti grattacapi, ma anche tante soddisfazioni.
Buon compleanno Marcello, e cento di questi personaggi!
Spiri
Siamo qui per festeggiare le tue nozze d’argento col fumetto, 25 anni… ammazza, però, come sei vecchio!
Come vecchio? A venticinque anni! Sono poco più che maggiorenne.
Seee, mettiamola così. Beh, non ti puoi più sottrarre: com’è iniziato il tuo rapporto col fumetto?
Tutto cominciò con quattro copie de Il Monello che arrivarono a casa mia quando avevo quattro anni. Mia madre ne aveva comprata una sola, in realtà, ma ci fu una sollevazione popolare, e fu costretta a comprarne altre tre, una per figlio (tre fratelli e una sorella)... e siamo andati avanti in questo modo per almeno un paio d’anni.
Facci capire: quattro copie dello stesso numero?
Esatto. E quando mio padre la sera tornava a casa dal lavoro facevamo le corse perché ognuno voleva che leggesse prima la sua copia. Una volta mia madre provò a forzare la situazione, portando a casa un Topolino, un Intrepido, un Monello ecc., ma ci fu un rifiuto netto da parte nostra e si ripristinò il rito dei quattro “Monelli”. Non ricordo quando sia finita questa cosa, penso quando arrivammo a comprarci i giornaletti da soli. Da quel momento in poi, tra me e i miei fratelli acquistavamo praticamente tutto quello che usciva all’epoca, che non era tanto quanto oggi, ma che era comunque ragguardevole. E questo amore per i fumetti si è inevitabilmente trasformato nel tentativo di imitarli. Sia io che i miei fratelli (mia sorella no) avevamo una certa disposizione per il disegno, coltivata anche “costruendoci” i soldatini di carta (quelli “veri” non potevamo comprarli: tutti i nostri pochi spiccioli andavano in fumetti!), fatti ricalcando personaggi dai giornalini (ricordo in particolare il Bombolo di Bramante) che poi “vestivamo” uno da Miki, uno da Blek, uno da giubba rossa, uno da bandito...
E vi facevate quindi anche i vostri fumetti?
Proprio così. Ognuno aveva la sua “casa editrice”: la mia si chiamava Edizioni Eagle (che pronunciavo come si scrive). Strappavamo i fogli dai quaderni, li piegavamo e li confezionavamo con le spille tolte dai quaderni stessi o da altri giornali che giravano per casa. Poi ce li disegnavamo. Inizialmente copiavamo a modo nostro i personaggi dei fumetti che ci colpivano di più... ma non solo: io ho scritto e disegnato innumerevoli avventure di due personaggi non fumettistici di cui sapevo poco o niente: il Taddeo e il prof. Talpucci disneyani intravisti su un libro illustrato e che solo in età adulta ho ritrovato nel cartone animato “Il vento tra i salici”. Io ne avevo fatta una versione avventuroso-fantascientifica...
Mi piace questa cosa di togliere le spille dai quaderni…
All’epoca l’unica alternativa era toglierle dai giornalini, e questo era impensabile: si sarebbero rovinati.
Ho fatto per diversi anni questi albetti, soprattutto con mio fratello Marco. Mio fratello Marzio, invece, arrivò a farli con approccio “industriale”: facendo realizzare storie anche me e Marco con la carta carbone, faceva varie copie che poi vendeva ai suoi compagni di scuola. Poi, ovviamente, divideva con noi il ricavato. La cosa andò avanti qualche mesetto...
Ora che ci penso, quello è stato il mio primo lavoro fumettistico pagato!
Vedo qui che i tuoi albetti li hai ancora tutti! Devo dire che sono particolarmente curati...
Non poteva essere altrimenti: nella mia fantasia giovanile, per me erano "veri"...
I giornalini che mi facevo in casa tra i dieci e i quindici anni, disegnandoli con la penna stilografica e colorandoli con le matite, inizialmente avevano per protagonisti personaggi copiati dai giornalini che compravo, come Pecos Bill, il Piccolo Sceriffo e Capitan Condor; solo in un secondo tempo ho cominciato a inventarne di miei come Atlas, Capitan Falco, Bonzo ecc.
Ma veniamo ai tuoi inizi professionali, cioè a venticinque anni fa.
Be’, attorno ai diciotto anni, alla fine degli studi di ragioneria, mentre ci insegnavano la “Divina Commedia” io mi inventavo delle battute su quel soggetto, che scarabocchiavo sui quaderni di scuola. Disegnicchiare mi aiutava a non distrarmi durante la spiegazione, e data la mia inclinazione a vedere il lato umoristico delle cose, le battute mi sgorgavano naturalmente insieme al disegno. La prima che feci mi pare fosse riguardo a Virgilio e Dante che passeggiavano in Purgatorio e incontravano un tizio seduto, pensoso. Dante gli chiedeva più volte: «Anima, chi sei?». Poiché questi non rispondeva, il poeta finiva per chiedere spiegazione a Virgilio che ribatteva: «E’ Sordello!»
Quando ero sul finire del corso di studi uscì Off-Side, mitica rivista dalla brevissima vita. Spedii alcuni “panel” di Dante alla casa editrice, insieme a una striscia un po’ strampalata (che fu pubblicata nella pagina dei lettori). Uno dei responsabili si mise in contatto con me, dicendomi che l’idea del rifacimento della Divina Commedia gli piaceva, ma che avrei dovuto realizzarla in strisce. Mi adeguai, e andai a Roma a portarla. Era la prima volta che lasciavo Siena per avventurarmi da solo in un'altra città, perciò fu un avvenimento in tutti i sensi, per me!
Ne parlarono anche alla Lucca di quell’anno... ho ancora il ritaglio de La Nazione dove c’era scritto: «Leggeremo a fumetti la “Divina Commedia”»!
Io intanto, finita la scuola, ero stato contattato, come tutti i migliori di ogni anno, dal Monte dei Paschi, la banca che era il sogno lavorativo di tutti i senesi, e assunto.
Dovendo scegliere una destinazione comunque lontana da casa (per rimanere a Siena avrei dovuto essere superraccomandato!), mi feci spedire al nord perché ero sempre vissuto in provincia e volevo... svegliarmi un po’! Così nel novembre del ‘69 approdavo nella Milano stravolta da contestazioni e stragi (sono di quei giorni l’uccisione dell’agente Annaruma e la bomba alla Banca Nazionale dell’Agricoltura in Piazza Fontana, a poche centinaia di metri da dove lavoravo io) e vedevo finalmente il mio Dante campeggiare (la rivista era in formato giornale) sulla copertina di Off Side in un’edicola di via Tonale...
E ti pagarono per questo lavoro?
Fallirono prima di farlo. Pubblicarono appena due puntate e addio. La testata fu poi ripresa dai redattori che tentarono di resuscitarla e mi fecero rifare le strisce che nel frattempo erano andate perdute, le pubblicarono e fallirono di nuovo. Morale: mai vista una lira. Però aver visto in edicola quel “giornalone” col mio Dante in copertina fu, per un diciannovenne come ero allora, una soddisfazione indicibile. Dopodiché sono seguiti alcuni anni di lavoro in banca durante i quali continuai a rifare le strisce, che erano sparite di nuovo, e a inviarle, purtroppo senza esito, a varie testate. A ventidue anni partii per il militare, finendo inevitabilmente in ufficio dove potei continuare a disegnare Dante. Nell’infermeria della caserma, fra l’altro, conobbi Franco Fossati, che poi avrei ritrovato sulla mia strada professionale!
Al termine della naja, convintomi che non avrei mai potuto continuare a fare il bancario e il fumettista insieme, decisi di lasciare il Monte dei Paschi e tentare la grande avventura.
Quanti anni avevi?
Ventitre. Mentre ero militare Bonvi, anche lui reduce dall’esperienza di Off Side di cui era stato protagonista assoluto con le sue Sturmtruppen e varie storie autoconclusive, aveva tentato di replicare quella formula editoriale con una rivista dal titolo Undercomics edita dalla Dardo, alla quale mi aveva chiamato a collaborare con la terza stesura di Dante. Fu fatto un numero “zero” che credo abbia venduto... altrettanto. Però la Dardo mi pagò, anzi mi pagò tutte le strisce che avevo fatto (forse una cinquantina o più), anche se su quel numero unico ne furono pubblicate molte meno. Un avvenimento, per me! Così quando lasciai la banca telefonai a Bonvi per avere qualche indirizzo e lui mi mandò da Silverio Pisu (poi diventato famoso per la collaborazione a “Lo Scimmiotto” con Manara) che stava preparando per l’Ediperiodici una testata dal titolo Telerompo, una satira sui programmi televisivi, dove Manara muoveva i suoi primi passi non strettamente pornografici.
Quindi conoscevi già le tecniche lavorative?
No! Inchiostravo come un cane! Per il primo Dante avevo usato molto grossolanamente il pennino... e quando mi avevano chiesto di usare i retini, io non avevo la più pallida idea di come si facesse! Il redattore di Off Side mi spiegò allora vagamente dove si compravano e che andavano tagliati e appiccicati sul disegno, così io appoggiavo il foglio di retino sulla striscia, ricalcavo la forma della parte del disegno da coprire, la tagliavo con le forbici e la appiccicavo... il lavoro era tutt’altro che preciso, ovviamente!
Per il lavoro dell’Ediperiodici cominciai a sperimentare l’uso del rapidograph, ma con risultati sempre penosi! Il primo lavoro me lo pagarono e lo pubblicarono, il secondo lo accettarono, ma non fu pubblicato, al che capii che non gradivano molto i risultati (e non avevano tutti i torti). Così non mi feci più vedere. E comunque Telerompo chiuse poco tempo dopo.
Lavoravi ancora in banca?
No. Dopo il servizio militare mi ero dimesso ed ero tornato in Toscana, andando a vivere da solo in un paese di quaranta anime. Passai un anno vivendo con la liquidazione. Feci qualcosina, mi presentai a destra e a manca, sempre senza risultato…
Quando la situazione cominciava a farsi pesante perché i soldi stavano finendo, entrai in contatto con Nino Bernazzali che mi indirizzò al neonato Gestudio di Gianni Bono. Mi presentai, dicendo che avevo lavorato per la Ediperiodici, millantando una professionalità che non avevo. Lui si “bevve” la credenziale e mi affidò una collana nuova, che si chiamava Le Sexy Operette.
Chi scriveva i testi?
Andreina Repetto, una grande professionista che aveva fatto di tutto, da Cucciolo & Beppe, alle storie di guerra... aveva creato anche Spettrus assieme al marito, Alfredo Saio. Era una donna gentilissima e allegra... fu un piacere conoscerla e collaborare con lei... che lavorava per la prima volta a produzioni “sexy”! La cosa non la scandalizzava, ma confessava di non essere abituata a usare con tanta scioltezza certe parole e certe frasi. Comunque si adattò. Anche se il suo essere donna diede luogo a un... pericoloso equivoco: Bono le aveva chiesto di fare una storia con rapporti omosessuali, secondo lui molto richiesti dal pubblico... solo che intendeva omosessualità fra donne, mentre a lei venne naturale intenderla tra uomini. All’editore si drizzarono i capelli in testa, quando vide le tavole disegnate!
Poveraccio, già gli era venuto un colpo quando aveva visto i miei spaventosi disegni per il primo numero! Ora che, mettendomi a copiare dalle fotografie, ero riuscito a dare un risultato passabile, saltava fuori questa storia degli omosessuali. Comunque lavorarono un po’ di biacca e il numero andò lo stesso in edicola!
Facevi matite e china, di quelle storie?
No, come ti ho detto inchiostravo da cani, così mi affiancarono fin dal primo numero un inchiostratore, Domenico Marino, che poi ha inchiostrato degli Alan Ford, dei Maxmagnus... però io ero deciso a imparare a fare anche quella parte del lavoro, così, piano piano, d’accordo con Domenico, cominciai a inchiostrare qualche pagina ogni numero, in modo che nel complesso non si notasse. Poi, impratichitomi, quando di lui ci fu bisogno per altri lavori, passai a inchiostrare da solo. Intanto la sceneggiatrice era stata sostituita da un certo Edy Segantini, che attualmente credo sia un giornalista de l’Indipendente. A un certo punto anche lui se ne andò, e io mi feci avanti per scrivermi le storie da solo, facendo diventare ‘ste Sexy Operette un prodotto... d’autore! Fra un cambiamento di formato e l’altro, la cosa andò avanti per circa quattro anni. All’inizio Bono mi aveva detto che la vita di queste testate era in media di uno-due anni... nel loro piccolo, dunque, Le Sexy Operette furono un grande successo.
Quante ne hai fatte?
Una quarantina.
Una al mese?
Sì. Se riuscissi oggi a tenere la media lavorativa di quei tempi, potrei diventare ricco: lavoravo una settimana (l’ultimo giorno, in ritardo come mia abitudine da sempre, coinvolgevo la mia futura moglie Patrizia e altri amici per aiutarmi a riempire le campiture nere) e per tre settimane me la spassavo. I soldi non erano molti, ma mi bastavano per la mia vita da single.
Nel frattempo cercavo comunque anche altre opportunità di lavoro, perché Bono era un “agente” e quindi si prendeva le sue belle (e all’epoca non quantificate) percentuali. Con Domenico Marino, capitammo anche allo studio di Graziano Origa, che prima titubò, poi ci disse che andava bene; quando sapemmo però che prendeva il lavoro in subappalto da Bono e ci avrebbe conseguentemente pagato anche meno di lui, lasciammo perdere.
Quando fu allora che le cose iniziarono a cambiare?
Quando cominciai a collaborare con l’Editoriale Corno. All’epoca furoreggiava Boy Music ed erano partiti al suo inseguimento tutta una serie di settimanali. Quello varato della Corno si chiamava Adamo.
Ricordo che rischiai di perdere il lavoro prima ancora di trovarlo a causa del mio nome simile a quello di Marco Torricelli, che Luciano Secchi all’epoca aveva in antipatia in quanto amico di Skiaffino, col quale Bunker aveva litigato. Così, quando andai a presentare i miei disegni alla Corno, equivocando sul nome non volle ricevermi. Poi ci incontrammo casualmente in ascensore e la cosa si chiarì. All’epoca facevo “gruppo” con Salvatore Deidda e con Gianni Bellocchio, che scriveva anche i testi firmandoli col nome della fidanzata. Una delle serie che mi furono affidate, I ragazzi di Stoner (il protagonista era una specie di Spencer Tracy, mentre i ragazzi assomigliavano uno a Branduardi, uno a Sorrenti e una a Blondie: c’era questo legame con la musica...), era firmata da lei, mentre l’altra serie l’avevo proposta io.
Avevo chiamato il personaggio Sonny Shawnee, ma Secchi decise che era troppo difficile e lo ribattezzò Sonny Sold. Andò avanti per una quindicina di episodi. Grazie a quelle due serie cominciai a comprarmi la casa...
La testata durò solo un annetto...
Quando Adamo comiciò ad avvicinarsi al crollo, che io però non potevo presagire, mi capitò di passare da Bono per salutarlo e lui mi disse che alla Bonelli cercavano sceneggiatori. Io alla Bonelli ero già stato più volte, ovviamente, con la mia cartellina, ma sempre presentandomi solo come disegnatore; sia Corteggi che Canzio avevano giudicato i miei lavori troppo umoristici e alla fine mi ero rassegnato. Non avevo mai pensato di presentarmi come sceneggiatore...
Quando Bono mi disse che cercavano uno che scrivesse Zagor, che conoscevo e amavo molto, la cosa mi entusiasmò. Stupidamente non pensai di rivolgermi direttamente alla Bonelli. Il risultato è che per la mia stupida “correttezza” ho regalato a Bono almeno il 33% dei miei compensi per lunghi anni.
Ti accettarono subito?
Sì, i soggetti che presentai andarono bene e mi misi immediatamente al lavoro. I primi compensi furono di novemila lire a pagina. Eravamo nel 1981 e la prima storia fu “Cico fuorilegge”. Subito dopo mi affidarono anche alcune storie per Il Piccolo Ranger. Ricordo che il compenso della prima mi servì a pagare la camera quando arredai la casa per sposarmi...
Io a quell’epoca avevo già smesso di leggere Zagor.
Anch’io, pochi mesi prima, perché non era più scritto da Nolitta e non mi piaceva più. Dopo ovviamente ho ricominciato e anzi ho richiesto i numeri arretrati… a nome di mia moglie, perché non volevo far vedere che non li avevo!
La collaborazione andò bene?
Sì, nel giro di pochi mesi passai dalle nove alle quattordicimila lire a pagina, che per me era una manna, e poi sempre più su.
Però facevi anche altre cose.
Circa nello stesso periodo ho lavorato anche per l’Eura. Ho scritto varie sceneggiature disegnate da Rotundo, Pepe, Chiarolla, Montanari… ma avevano questo contratto capestro col quale si tenevano tutti i diritti, che non mi piaceva molto. Poi una volta Stelio Rizzo, che curava i rapporti con gli autori, mi rimandò una sceneggiatura perché l’accorciassi di due o tre pagine! A paragone coi lavori “lunghi” di Bonelli quella storia breve, dovendola rimaneggiare, diventava più una perdita che un guadagno (all’epoca pagavano duecentomila lire a storia), così preferii interrompere la collaborazione.
E poi?
Quando abitavo ancora in Toscana avevo letto un annuncio in cui cercavano gente per fare i cartoni animati a Livorno (città natale di mia moglie). Andai e ci lavorai per un mesetto. L’organizzatore era un cialtrone (fu arrestato poi per spaccio di droga...), ma c’era il progetto di fare una serie televisiva coi disegni di base di Alberto Fremura, livornese anche lui. Cominciammo, per far pratica, con uno “spot” sui denti (questi dentini che camminavano erano allucinanti da disegnare perché avevano tre gambe), per la RAI. Lì ho conosciuto Paolo di Pietrantonio col quale condividevo la passione per i fumetti. Poco dopo piantammo lì perché l’ambiente era poco serio. Con lui e un altro paio di transfughi dello Studio realizzammo per conto nostro un cartone animato della durata di un minuto e provammo a sottoporlo a Bruno Bozzetto. Lui ci mandò a chiamare, e disse che ci avrebbe dato un lavoro. Poi ci ripensò, volle vedere delle prove di ogni singolo del gruppo: nessuna lo contentò e la cosa finì lì. Ma dei cartoni animati io e Paolo ne avevamo comunque già fin sopra i capelli!
Non era roba per noi!
Poi si arriva a Prova d’Autore.
Sì, avevo voglia di fare altre cose. Ne parlai con Paolo e con Stefano Casini, contattato tempo prima per fare le matite di un paio di episodi de I ragazzi di Stoner dopo aver visto alcuni suoi disegni esposti a Lucca. Dato che non trovavamo spazi per pubblicare certe cose nostre, ci inventammo una rivista, questa Prova d’Autore. Era il 1984. E lì, su testi di Renzo Sciutto, creai Hank Silicon e il mio definitivo stile di disegno. Fino ad allora, su Adamo, cercavo di fare un disegno realistico, che era quello che mi veniva richiesto. Come ho detto, per riuscirci, ai tempi dei giornaletti sexy avevo preso l’abitudine di copiare dalle fotografie (a questo proposito, mi diverto moltissimo a vedere certe pagine osannate di Manara che son copiate dalle stesse foto da cui copiavo io!); fu Deidda, cui devo parecchio, a consigliarmi di smettere di copiare. Lui aveva un altro tipo di “dipendenza”, perché nello studio di Bono a Genova lavoravano tantissimo con l’episcopio, che è questa specie di proiettore che ti consente di ricalcare disegni ingranditi o ridotti e ottenere così risultati professionali da subito; usandolo, però, non impari mai a disegnare. Un giorno lui aveva buttato via la chiave della stanza dell’episcopio, per costringersi a imparare davvero a disegnare. Raccontandomi questa cosa mi convinse a smetterla con le fotografie. Ci volle molto impegno, ma alla fine ho imparato a disegnare. E, con Prova d’Autore, ho trovato anche il mio stile.
Approfittiamo per toglierci una curiosità da lettori: ma la storia di Hank Silicon era completa o procedeva episodio per episodio?
Il soggetto era completo, ma la parte finale della sceneggiatura non è mai stata scritta. Il disegno invece era fatto volta per volta. Poi Prova d’Autore divenne Fox Trot! e quando questo chiuse le serie sono rimaste in sospeso... e io, ammaestrato da quell’esperienza, non ho più osato iniziarne di nuove (quando l’ho fatto, con Kletter TS, è rimasta in sospeso anche quella!)..
Tu facevi un po’ il factotum: matite, chine, sceneggiature…
Quando facevo Zagor per Bono, lui aveva anche convinto mia moglie a lavorare in redazione da lui per curare riviste di enigmistica e altro, e così ci eravamo trasferiti a Milano. Anch’io passavo parte del mio tempo presso lo Staff di If per vari lavoretti (che so, la posta di Guerra d’eroi, rubriche enigmistiche, traduzioni, lettering ecc.; per una di quelle riviste di enigmistica, edita dalla Bonelli, creai Il pinguino Colofòn) per cui mi ero impratichito un po’ di tutta la gestione redazionale: impaginazione, rapporti col fotolito ecc.
E hai lavorato anche per una pubblicazione sui fumetti.
Sì, un altro dei motivi per cui venni a Milano fu proprio che Bono mi chiamò per aiutarlo a fare il libro “I Bonelli”. Lui mi dava pacchi di materiali, vecchi albi presi dal suo archivio e da quello della Bonelli, e io scrivevo i testi. Tutto il lavoro (mostruoso!) mi fu pagato, non ricordo se mezzo milione o settecentomila lire: non ci ripresi nemmeno i soldi dell’albergo che Gianni mi aveva anticipato dicendo «Non ti preoccupare!», ma che poi aveva voluto indietro fino all’ultima lira!
Torniamo a Prova d’Autore…
E’ stata una bella gavetta da editore! Abbiamo provato a venderla per corrispondenza facendoci pubblicità su edizioni amatoriali, come Il Fumetto dell’ANAF, ma le vendite furono spaventosamente basse, al contrario dei costi. All’inizio era nata un po’ come ipotesi pubblicitaria: doveva darci la libertà di fare quello che gli altri editori non ci consentivano e contemporaneamente farci notare. Devo dire che sotto questo profilo sono stato ampiamente ripagato della fatica e delle spese fatte... come anche Stefano, penso.
Tutti i collaboratori sono poi diventati professionisti.
Be’, Bianchini già lavorava per Bonelli. Altri (penso a Conchetto, a Sciutto...) hanno poi seguito strade diverse dal fumetto.
Comunque, i problemi di diffusione ci convinsero a varare FoxTrot e ad affrontare l’edicola; trovammo un distributore di Torino (nei riguardi del quale abbiamo sempre avuto un atteggiamento molto sospettoso, dovuto al suo comportamento tutt’altro che lineare) e arrivammo al quinto numero quando, con qualche debito sulle spalle anche a causa dell’esperimento di Fritto Misto (la mitica quanto assurda rivista di fumetti... in scatola!) che aveva peggiorato la situazione, decidemmo una battuta d’arresto.
E lì ci fu l’incontro con Fumo di China.
Sì, gli autori erano andati ognuno per la sua strada. Io, deciso a continuare l’attività editoriale (credo sia una malattia: quando la prendi, non ti liberi più), avevo conosciuto te…
All’epoca anche noi avevamo i nostri problemi... molte delle nostre “colonne” erano passate al professionismo ed eravamo un po’ in crisi. Abbiamo unito le forze e il resto, come si dice…
...è storia. Va detto che il cammino di tutti questi anni è stato possibile grazie anche a Sergio Bonelli che, conosciuti i miei problemi per la distribuzione di FoxTrot, aveva offerto i suoi buoni uffici per farci accettare dalla Marco. È con questa possibilità all’orizzonte che decidemmo di rinforzare la testata e di “gemellarci”, partendo con quasi 20.000 copie di tiratura...
Facciamo un passo indietro: quando lasciasti Bono?
Una volta, liquidandomi il lavoro, si lasciò scappare quanto venivano pagati alla Bonelli i miei lavori, così mi resi conto che tratteneva un terzo del compenso: e tutto per portare a trecento metri di distanza le sceneggiature che gli consegnavo! Così gli dissi che avrei continuato a lavorare con lui, ma che non gli avrei dato più del 15% e non avrei fatto altri lavori oltre a Zagor. Un mese dopo Tiziano Sclavi gli chiese di farmi fare Dylan Dog, e lui fu costretto a lasciarmi lavorare direttamente con la Bonelli. Poi, visto che continuavo ad andare nel suo studio per Zagor e, col mio esempio, gli fomentavo la “rivolta” tra i collaboratori, mi lasciò libero di fare direttamente per la Bonelli anche Zagor. Io però continuavo ad andare lì perché ero in amicizia con i ragazzi che ci lavoravano, così mi invitò a non farlo più perché “facevo perdere tempo”. E così chiudemmo ufficialmente i rapporti.
E poi c’è Il Giornalino.
È il primo dei risultati di FoxTrot di cui parlavo: Stefano Casini, che già in passato aveva avuto rapporti con Gino D’Antonio, che era il suo mito personale, andò a mostrargli i suoi disegni per avere un giudizio e anche per vedere se c’era la possibilità di una collaborazione a Il Giornalino, di cui il mitico Gino era diventato da qualche tempo responsabile dei fumetti, e gli portò i nostri giornali. Lì D’Antonio vide la mia “Lettere d’oro”, una storia di Sonny Sold fatta per Adamo e poi ripresa e ridisegnata per FoxTrot col mio nuovo stile; gli piacque e chiese anche a me di collaborare.
Cominciai a fare delle storielline autoconclusive, poi presentai il progetto dell’Agenzia Scacciamostri, che fu subito approvato. Qui venivo finalmente accettato come autore completo, e anche trattato con un rispetto da professionisti a cui non ero abituato. Alla Bonelli intanto da un po’ avevano cominciato a mettermi il nome sulle sceneggiature di Zagor senza nemmeno chiedermi se gradivo la cosa; a quel punto, le correzioni redazionali che non mi avevano, nell’anonimato, mai disturbato più di tanto, col mio nome sopra il giornale cominciavano a pesarmi. Siccome non si vive solo di soldi…
Per quanto hai lavorato a Zagor?
Dieci anni.
Com’era il tuo Zagor?
Non c’è mai stato uno Zagor “mio”. Quando ho cominciato mi ispiravo a quello di Nolitta, quello degli anni ‘60, con una narrazione abbastanza lenta. Canzio, d’accordo con Bonelli, mi impose una narrazione più veloce, in conseguenza della quale furono eliminate anche tutte le gag lunghe di Cico (e questo mi costò da parte della critica e dei lettori il rimprovero di trascurare il personaggio). Inoltre, tutte le volte che ho provato a inserire elementi di sentimento, emozione, Canzio le ha sempre rifiutate. Soltanto un soggetto di quel genere fu accettato, nonostante a Canzio non piacesse molto, perché fu sostenuto da Sclavi. La storia fu disegnata da Pepe e ricevette una recensione positiva di Michele Masiero su Fumo di China.
Io l’ho comunque sempre scritto volentieri, e forse era anche più facile scriverlo come volevano loro, anche se poi magari risultava meno coinvolgente per certi lettori. Però durante la mia gestione le vendite non sono mai calate. Una volta addirittura Canzio mi disse che c’era stato un leggero rialzo, cosa decisamente sorprendente per una testata “classica”.
Torniamo all’Agenzia Scacciamostri. È vero che il protagonista, il professor Van Der Groot, è nato dalla costola di Dylan Dog?
Sì. Nel periodo in cui fui chiamato a scrivere Dylan Dog avevo anche realizzato Marshal Mickey, un piccolo albo a striscia a tiratura limitata dove rivisitavo a modo mio il personaggio di Capitan Miki, e ne avevo fatto omaggio sia a Canzio che a Sclavi. Un paio di sere più tardi, dopo cena, con mia grande sorpresa Tiziano mi telefonò sperticandosi in lodi non tanto per la sceneggiatura, versante sul quale già conosceva ampiamente i miei pregi e i miei difetti, ma per il disegno, del quale mi disse di aver apprezzato lo stile ligne claire, la costruzione delle vignette e la certosina rappresentazione dei particolari. E mi chiese di disegnare Dylan Dog. Rimasi frastornato: in quel periodo ancora nessuno trovava “commerciabile” il mio disegno (qualche tempo prima Claudio Nizzi, a cui mi ero proposto per Il Giornalino di cui all’epoca era responsabile dei fumetti, mi aveva detto che i miei lavori erano troppo particolari e strani, per i lettori di quel settimanale). Mia moglie, alla quale riferii la telefonata, da quella accanita sostenitrice del mio talento che è, commentò lapidariamente: “Sarà stato ubriaco!”
Se anche Tiziano dovesse mai aver avuto problemi con l’alcol come il suo personaggio, quella sera doveva comunque essere sobrio, perché nei giorni successivi mi fece fare alcune tavole di prova sulla base di una sua sceneggiatura (già fatta disegnare, ma non ancora pubblicata), quella in cui appariva per la prima volta lo strampalato prof. Wells. Mi trovai subito male col volto di Dylan Dog, troppo cinematografico e realistico per il mio disegno dallo stile essenziale e tendente al grottesco. Mi divertiva invece moltissimo la figura di questo professore pazzoide, che mi divertii a disegnare accanto agli studi delle figure di Dylan e di Groucho. Piacque anche a Sclavi, che mi disse di averlo immaginato proprio così, e di essere stato abbastanza “tradito” dall’immagine che ne aveva dato Dell’Uomo. Comunque, sia per le difficoltà col volto di Dylan, sia perché l’idea di disegnare 96 pagine di sei vignette tutte di fila (e di fare tanta fatica per un personaggio non mio) mi terrorizzava, detti forfait, regalando una delle tavole di prova a Tiziano. E chiedendogli l’autorizzazione a usare in altro àmbito la mia versione dello stralunato professore... che mi tornò utile quando dovetti metter mano alla proposta per Il Giornalino.
Quante storie hai realizzato dell’Agenzia Scacciamostri?
Quasi una trentina. In alcune mi sono divertito a riutilizzare le mie creazioni dell’infanzia, naturalmente aggiornandole sia graficamente che narrativamente; addirittura, ho ripreso un’intera sequenza da uno dei miei albetti fatti in casa, quella di un attacco di robot malvagi, fermàti da Capitan Falco a colpi di cartucce di dinamite, un episodio che si era mantenuto vivo nella mia memoria e continua a emozionarmi oggi come quando lo realizzai per la prima volta. Mi sento un po’ scemo a confessarlo, ma è così!
Poi è toccato a Dante...
Altro merito di D’Antonio (un giorno dovrò fargli un monumento) che vedendolo su FdC mi ha proposto di sottoporlo a don Tommaso Mastrandrea, direttore de Il Giornalino, ovviamente adattandolo al diverso tipo di pubblico.
Io avevo grossi dubbi che la cosa potesse avere esito, invece don Tom si è dimostrato entusiasta perché erano dieci anni che cercava il modo di portare la “Divina Commedia” sul suo settimanale (e io che ci lavoravo quasi disperatamente da venticinque!), per cui ho concluso finalmente l’Inferno che sta già uscendo a puntate, dal n. 41 del '94, addirittura in technicolor!
Realizzerai anche il Purgatorio e il Paradiso?
Per il momento non sono in programma, anche se ci ho fatto un mezzo pensiero. In ogni caso, non sarebbero a strisce, ma a tavole “domenicali”, perché in queste due parti non ci sono così tanti personaggi “forti”, adatti a una riduzione fumettistica, come all’Inferno, per cui dovrei cambiare un po’ il “ritmo”...
E arriviamo all’offerta della Star Comics, di cui hai già parlato su FdC. Che tipo di fumetto è Shanna Shokk?
Un fumetto che vorrebbe mettere insieme (se ci riuscirò) le cose che, aldilà delle fuorvianti mode che di volta in volta mi hanno coinvolto, ho sempre amato veramente: le storie giallo-umoristiche di Gil Jourdan di Tillieux, il medioevo di Roland e Pirlouit di Peyo, Tintin e Asterix, i romanzi di Donald Westlake (soprattutto la serie di Dortmunder) e quelli fantascientifici di Douglas Adams, la trilogia di “Ritorno al futuro”, le commedie di Walter Matthau, il “Big” con Tom Hanks, il primo Woody Allen, le Tartarughe Ninja... e potrei continuare a lungo, ma credo di aver reso l’idea (ai cinque lettori che conoscono tutti questi personaggi!). Quello che è certo è che Shanna non è un personaggio studiato a tavolino: non so come è nata, non ho studiato né il suo passato, né i suoi sviluppi futuri. Ho solo deciso che mestiere fa (uno che mi garantisse di avere sempre nuovi spunti per le storie) e che è superforte, per vivacizzare le storie e divertire anche i lettori più giovani. Il resto non ha importanza. Un canguro rosso parlante avrebbe potuto svolgere lo stesso compito, nell’impianto delle storie che intendo raccontare. Anche se, ovviamente, Shanna è un po’ più graziosa da vedere!
Visto che non riesci mai a fare una sola cosa per volta, hai qualche altro progetto pronto a uscire dal cassetto?
Vuoi vedermi morto? Credo che Shanna e l’Agenzia Scacciamostri assorbiranno tutto il mio tempo... finché dureranno! Anche se... in realtà, appena avrò un attimo di respiro, vorrei riprendere un altro mio personaggino, lo scatologico Superstrunz, che credo si meriterebbe degli albetti all’americana, fosse anche solo uno all’anno. Non so se troverò invece mai il tempo di realizzare la versione definitiva de Gli Hominidi, personaggini creati per Fritto Misto e dei quali, proprio nei giorni in cui mi è arrivata l’offerta della Star, stavo studiando una completa ristrutturazione. Purtroppo non si può fare tutto...
Beh, allora... auguri! Per i tuoi 25 anni di professione, e per tutti i tuoi progetti.
Grazie.
COMMENTI A MARGINE
SEGNATO DA SEGNA
Molti sono i personaggi dei fumetti che hanno riempito la mia vita e suscitato forti emozioni in me, la maggior parte ormai dimenticati o quasi. In ordine sparso, Akim, Pecos Bill, Buck Danny, Il Cavaliere Sconosciuto, Capitan Miki. Oltre a tutti quelli de Il Monello: Piccola Eva, Superbone, Fiordistella e, sopra tutti, l'originale, divertentisssimo Narciso Putiferio di Corbella.
Dunque molti personaggi e, conseguentemente, molti autori. Ma uno solo mi ha "conquistato" fino in fondo e segnato indelebilmente; si tratta di Pini Segna, fino a qualche anno fa disegnatore di Zagor.
All'epoca però non lavorava per la Bonelli: il suo editore era... lui stesso. Scriveva e disegnava storie a getto continuo, sfornava un personaggio dietro l'altro, dai tarzanidi come Jungla King ai cavalieri mascherati come Ringo, alla "telenovela" western Tim e Ox che mi innamorò definitivamente dell'autore.
Quest'uomo che faceva tutto da sé, creando e editando in proprio le sue opere, per me aveva qualcosa di speciale.
In età adulta, diventato fumettista anch'io, ho avuto modo di conoscerlo e ogni tanto mi capita di sentirlo per telefono.
Forse non è un grande artista, e può darsi che il mondo del fumetto lo dimentichi (l'ha già fatto?) senza darsi troppa pena, ma per me è stato il più importante, addirittura l'unico. Come fumettista credo di dovere a lui, nel bene e nel male, tutto quello che sono.
E dunque grazie, caotico, generoso, per me mitico Pini Segna!
PICCOLI PERSONAGGI CRESCONO
Una volta presa confidenza con la serie Agenzia Scacciamostri, che da qualche anno appare su Il Giornalino, ho cominciato a concedermi qualche "licenza poetica",usando le avventure del professor Van Der Groot come "luogo di raduno" dei tanti personaggi da me creati e giacenti nei miei cassetti, in modo da portarli finalmente, e ufficialmente, alla luce.
Hanno così fatto capolino sulle pagine di Agenzia Scacciamostri Shanna Shokk e l'indiano Kannak. Ma anche alcuni personaggi creati da ragazzo per i miei giornalini casalinghi come Atlas (trasformato in lottatore di wrestling, da quello strano poliziotto coi guantoni da pugile che era nella mia fantasia infantile), Capitan Falco e, per una lunga serie di storie attualmente in lavorazione, anche il cavernicolo Bonzo.
PARODIANDO A LUCI ROSSE
Dato il carattere parodistico de Le Sexy Operette, una volta esauriti i rifacimenti delle operette vere e proprie, non mi lasciai sfuggire l'occasione di parodiare il mio genere preferito, cioè i fumetti. Hanno così avuto una versione erotica l'immancabile Tex, ribattezzato Tek ("Perché ce l'ho duro come il legno!") e i suoi "pard", il figlio Cock Willer e il ranger Kit Kazzon. Nello stesso episodio fa poi una comparsata il Billy the Kid di alcune avventure di Lucky Luke in versione realistica e trasformato inevitabilmente nel "pistola più veloce del west", in quanto sofferente di eiaculazione precoce.
Un intero albo è stato poi dedicato a una versione a luci rosse di Superman, diventato Supermazz (e, per gli abitanti di Little Italy, Membro Kid). Comprimari, il direttore Spermy White, Jimmy Oscen e Mussa Lane. L' identità segreta dell'eroe era Clark Dement, giornalista omosessuale!
NEL CASSETTO
Peneo è stata forse la mia prima serie proposta a un editore, e ha visto più versioni.
La prima, all'epoca in cui realizzavo Le Sexy Operette, una seconda, forse mai presentata a nessuno, e una terza, umoristica.
Il protagonista era un giovane greco ricco e gaudente che, per aver fatto l'amore con una protetta di Giove, era stato condannato a non essere riconosciuto più da nessuno (e, dunque, alla povertà) finché non fosse rimasto almeno una settimana senza far l'amore con una donna. E, ovviamente, era concupito da ogni fanciulla che incontrava...
GLI AVVENTUROSI
Di tanti personaggi usciti dalla mia fantasia in questi venticinque anni, due meritano più degli altri di essere menzionati: Clavel, avventuriero dal passato misterioso che vive le sue avventure nel Sud America del '700, e Allan Tre Bande, terrestre "naufragato" su un pianeta alieno a metà tra il Far West e il medioevo. Merita solo una citazione come curiosità la serie La Griffe, che aveva per protagonisti in veste di detective... Lucio Dalla e Francesco De Gregori, rimasta sempre allo stadio di abbozzo.
QUELLI CHE FANNO RIDERE
Di progetti, studi e abbozzi di personaggi umoristici ho pieni i cassetti. Il più ambizioso si chiamava Calamar e l'avevo realizzato su proposta e testo di Peppe Ferrandino, che voleva realizzare un'italica versione di Asterix, mescolando Brancaleone e Cyrano. Realizzai con molta fatica (mi si richiedeva uno stile intermedio tra i miei due, e non fu facile inventarselo) un paio di tavole "alla francese", ma ai primi no degli editori d'Oltralpe mi stufai. E Ferrandino, forse, altrettanto. Non ne abbiamo mai più parlato.
Gli altri, nascono e giacciono tra le altre mille carte addormentate, facendo capolino ad ogni occasione (purtroppo sempre molto rare, nel panorama fumettistico italiano), per tornare subito a dormire fino a chissà quando.
NON SOLO FUMETTI
Il disegno non serve solo per i fumetti. E per guadagnarsi la pagnotta (o per il proprio piacere) capita di fare un po' di tutto. Qualche esempio: barzellette per giornali enigmistici, illustrazioncine per la rubrica "Il sesso" sulla berlusconiana Noi... e, naturalmente, le partecipazioni per la nascita dei figli!
Le immagini (dall'alto): la copertina dell'inserto dedicato ai miei 25 anni da fumettista; la copertina e due pagine di uno dei giornalini che realizzavo nell'infanzia, con il personaggio di mia creazione Capitan Falco; Dante, primi tentativi di un successo quarantennale; prove per Dylan Dog; il professor Wells/Van Der Groot; altra prova, con Dylan Dog in una folle versione "casual" di mia invenzione (che Sclavi e i lettori mi perdonino!); il capitan Falco dell'adolescenza torna in un episodio di Agenzia Sciacciamostri sul Giornalino; un'immagine di presentazione di Clavel.