venerdì 28 agosto 2015

50 volte mille



Mentre trascorrevo qualche giorno in montagna, lontano da internet, questo blog ha raggiunto un piccolo traguardo. Trascinato dalle strisce-pagine degli Agents of S.H.I.T., ha infatti superato le 50.000 visualizzazioni!
Niente di eclatante, per carità, ma comunque un segno dell'interesse che i suoi contenuti suscitano in amici, appassionati di fumetti e curiosi di passaggio.
Siccome i (pur modesti) successi sono come i superpoteri e comportano grandi responsabilità... cercherò di continuare così e, se possibile, in futuro fare anche meglio.
Per intanto, cinquantamila volte grazie a tutti voi!



Un'editrice... a fumetti


Da ormai circa un anno collaboro con la pimpante casa editrice Teka Edizioni di Mariangela Tentori.
Ogni mese scrivo e disegno per la sua pagina Facebook una striscia umoristica dove la versione fumettizzata dell'editrice riflette con inevitabile ironia sull'appassionante quanto difficile mondo dell'editoria.
E lo fa confrontandosi nientemeno che con... la statua di Alessandro Manzoni, uno dei "temi" che la Teka cavalca con più convinzione, a tal punto da ripubblicare in un elegante volume (in italiano e in inglese) la versione de "I promessi sposi" che Nizzi e Piffarerio realizzarono anni fa per il Giornalino.
Ora le prime strisce sono state raccolte in un'apposita pagina del sito della casa editrice, perciò chi se le fosse perse può leggersele tutte insieme qui.


Cose che ho fatto in tempo a conoscere...

...e che i miei figli non hanno mai visto né sentito.

2. LA STADERA 


Quando ero ragazzo, in alcuni negozi e al mercato del mercoledì per pesare la merce si usava ancora la stadera, un ingegnoso metodo basato sul meccanismo che vedete nella foto: il venditore con una mano teneva il gancio in alto, con l'altra prima metteva la merce (mele, noci, fichi, chiodi o cos'altro fosse) nell'apposito piatto, e poi spostava lungo l'asta numerata il peso che vi era inserito. Quando il braccio stava parallelo al pavimento, bastava controllare il numero rispettivo alla tacca su cui si trovava il peso... e il gioco era fatto.
Wikipedia lo spiega un po' meglio, informandoci che "la stadera è una bilancia di origine romana basata sul principio delle leve. È costituita da una leva a bracci diseguali e da un fulcro che, in genere, si presenta fisso. Sul braccio più lungo, che può recare una o più scale (in genere 2), scorre un peso detto romano; su quello più corto può esservi o un piatto o un gancio recanti l'oggetto o la merce da pesare. Facendo scorrere il romano lungo la scala si raggiunge una posizione di equilibrio nella quale il braccio graduato si porta in posizione orizzontale. Dalla posizione del romano sulla scala si legge dunque il peso cercato. Per misurazioni di limitata entità (max 15-20 kg) il fulcro viene impugnato direttamente dalla persona che effettua la pesata."


Questo metodo di pesatura già era stato in gran parte sostituito dalla bilancia a due piatti, che di solito veniva chiamata anch'essa stadera. In quel caso, in un piatto si metteva la merce, e nell'altro si inserivano dei pesi di varia misura fino a raggiungere l'equilibrio dei due contenitori. Dalla somma dei singoli pesi appoggiati sul piatto si otteneva il peso complessivo della merce.
Più tardi cominciarono a prendere piede le bilance vere e proprie, prima quelle a due piatti dove continuava il gioco dei pesi e l'ago nella colonna centrale serviva solo a indicare il raggiunto equilibrio tra i due pesi, poi quelle a un piatto solo con l'ago nella colonna (a quel punto laterale) che indicava il peso direttamente sulle apposite tacche numerate.




domenica 2 agosto 2015

Primi passi... nel Far West




Ancora prima di improvvisarmi autore-editore dei giornaletti che facevo in casa sui fogli di quaderno, insieme ai miei fratelli Marco e Marzio avevo incominciato a cercare di portare su giornalini "veri" la mia voglia di scrivere e disegnare. Il primo a premiare i miei sogni e il mio acerbo talento, se la memoria non mi tradisce, fu Il Vittorioso che ricompensava con prodotti alimentari vari (cacao solubile ecc.) i più bei lavori dei lettori. Credo che quello sia stato anche il mio primo contributo "economico" alle magrissime finanze familiari. Più tardi tempestammo ogni possibile pubblicazione a fumetti coi nostri disegni adolescenziali, a cominciare, a metà degli anni Sessanta, dal Maschera Nera della Corno. Nel 1967 mi pagai i "vizi" estivi piazzando su Pappagone una serie di barzellette. Utilizzando prima il mio nome e facendomi poi "prestare" quello di alcuni amici (all'epoca, questo poteva qualificarmi come "gioventù bruciata", ma probabilmente erano astuzie dettate, più che dalla disonestà o dal bisogno... dall'ambizione) vinsi infatti più d'un primo premio e diversi secondi e terzi premi nel concorso settimanale per le migliori vignette dei lettori.





La mia prima opera letteraria finì invece su una rivista dove il fumetto era una componente secondaria.
Nel dicembre del 1965 era approdata nelle edicole italiane una inconsueta pubblicazione intitolata Colt 45. E sottotitolata "Storie vere del vero West".
La pubblicava l'Editoriale Olimpia, nota soprattutto per la rivista di caccia Diana, che ha cessato l'attività per fallimento nel 2012.
Dal n. 8, la redazione decise di varare una "pagina dei lettori" e fui io (insieme al lettore Scarpa) a tenere a battesimo la nuova rubrica con un raccontino accompagnato dalla relativa illustrazione. A sedici anni, avevo già il vizio di farmi tutto da solo! 



Non pago di quella soddisfazione, inviai anche delle vignette (sempre a carattere western, naturalmente) che apparvero due numeri più tardi e mi fecero guadagnare l'appellativo di "prolifico"... forse usato gentilmente al posto di "rompiscatole" o "asfissiante".


Forse avevo mandato anche altri materiali, ma non ci furono né il tempo né il modo di pubblicarli. Il 4 novembre di quell'anno l'Arno invase infatti Firenze e della devastazione causata fece le spese anche la casa editrice di Colt 45, che così ne informava i lettori: "Gente, gran parte dei servizi e delle illustrazioni che avevamo preparato per il fascicolo di COLT 45 destinato ad uscire in novembre galleggia attualmente sull'Arno, in qualche posto tra Firenze e la Grande Scodella. Per questa ragione ci scuserete se il fascicolo esce con un numero di pagine ridotto e privo di molte importanti rubriche. Gente, questo è un fascicolo storico e per la fatica che ci è costata metterlo assieme deve esservi più caro di qualsiasi altro. Il prossimo sarà migliore e certo più completo, ma mai come in questo momento abbiamo bisogno di tutta la vostra solidarietà e di tutto il vostro aiuto. Grazie, gente." Il messaggio in quarta di copertina era firmato da "il Pony Express".
Ma la testata non si risollevò mai. Dopo quel numero ne uscì solo un altro, datato Dicembre 66 - Marzo 67, che con un "Saludos, amigos!" si congedava definitivamente dai lettori.
Io, insieme a una interessante lettura che mi preparava inconsapevolmente alle sceneggiature zagoriane di due decenni più tardi, persi anche quella piccola "palestra" di scrittura e disegno fiorita nel Far West del capoluogo toscano.