lunedì 17 aprile 2023

Pinocchio?


Mentre procedo con la scrittura e il disegno del Pinocchio a strisce umoristiche a cui sto lavorando, continuo a interessarmi alle varie versioni dell'opera che sono state realizzate nei vari media.
Ieri ho finalmente guardato anche il film d'animazione di Guillermo Del Toro.
Premetto che questa non è una recensione, ma solo l'insieme delle mie personalissime impressioni. Consapevole che in questo senso la valutazione di un'opera dipende sostanzialmente da cosa ci si aspetta di trovarci, devo dire che non mi è piaciuto granché.
Del Toro ha preso ben poco dal libro di Collodi: il protagonista, Geppetto e il Grillo Parlante. Stravolti tutti e tre per trarne una storia tra horror e messaggio politico.
Pinocchio, che resta "nudo" dall'inizio alla fine e al quale il naso si allunga ramificandosi, riesce simpatico ma non è l'originale, irriducibile "ribelle" monello e curioso. Fin da subito mette la testa a posto e ha l'unico scopo di cercare di aiutare il suo babbo-creatore per riguadagnarne l'amore.


Nel film, realizzato in stop motion, il design di Geppetto lo fa apparire più legnoso della sua creatura; devastato dal lutto, dedito all'alcol, è un individuo malato capace di vendere l'anima al demonio della sua ossessione per ritrovare il figlio perduto.


Il Grillo Parlante, aspirante scrittore (e incongruamente continua a scrivere anche dopo la propria morte, per raccontare la fine della storia) è diventato "l'abitante" di Pinocchio, al cui interno vive in funzione di cuore-coscienza dopo la magia che ha dato vita al burattino.


Per il resto, la Volpe fa il lavoro di Mangiafuoco ma con cinismo capitalistico; il Pescecane è una creatura mal disegnata, bruttissima da vedere; Lucignolo è il figlio antimilitarista di un gerarca fascista e il Paese dei Balocchi è un'adunata di Balilla. Appare anche il Duce, nanizzato con intento dissacratorio forse per incarnare, con la statura fisica che nella realtà storica era appannaggio del re (non a caso soprannominato "Sciaboletta"), la bassezza morale del regime. Sì, perché la vicenda collodiana è stata spostata negli anni del Ventennio.
Come si vede, dal Pinocchio letterario Del Toro ha preso solo qualche idea delle tantissime partorite dall'autore, per mettere insieme un pamphlet animato antifascista totalmente fuori tempo e pacifista di maniera.
Ah, dimenticavo: il film si presenta come un musical, ma le quattro o cinque canzoncine sono del tutto dimenticabili e giustificate al massimo nel contesto delle esibizioni teatrali di Pinocchio.
Ovviamente ogni autore ha il diritto di far suo un testo nel passaggio ad altro medium (lo farò anch'io con le mie strip), ma qui sembra proprio che il regista messicano abbia usato il nome di Pinocchio solo per garantirsi un'attenzione che altrimenti il suo "messaggio", con differenti protagonisti che avrebbero tranquillamente retto la storia ma rivelato tutta la debolezza dell'opera, avrebbe rischiato di non ricevere.
Per me, dunque, questo Pinocchio che muore di continuo e ogni volta torna dalla morte, è un lavoro tutt'altro che epocale. Unica scelta che ho apprezzato: evitare la trasformazione finale in bambino.


   

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