Qualche settimana fa ho comprato il primo numero della ristampa di Bella & Bronco, l'ultimo tentativo di serie western uscito dalla macchine da scrivere e dalla matita di Gino D'Antonio. Ho già tutta la serie originale in bianco e nero, e non m'interessava rileggermela in versione colorata.
Il motivo dell'acquisto era il racconto, sempre dell'autore meneghino, "L'intervista" apparso nel 1983 sulla rivista Orient Express. L'avevo letto a suo tempo, ma quando da Milano sono tornato in Toscana, avevo venduto tutte le riviste e un sacco di altri fumetti per i quali non avrei avuto posto nella nuova abitazione, così non avevo più quell'ultimo capitolo "extra" della Storia del West che per il resto conservo ancora gelosamente, completa. Era dunque l'occasione per chiudere come si deve l'opera magna di D'Antonio. E ho riletto con piacere questo fulminante racconto in cui l'autore riporta in scena il suo MacDonald inventandosi una "dannazione" magica per George Armstrong Custer.
Già che c'ero mi sono riletto anche l'episodio dei titolari di testata, e ho fatto tra me e me qualche considerazione che qui condivido.
Capita a più d'un disegnatore, con l'età, di perdere un po' il senso delle proporzioni, spesso aumentando la grandezza delle teste. Lo si è visto negli ultimi lavori di Galleppini, e anche in Bella & Bronco se ne intravedono le prime tracce. Al netto di questo, il lavoro di D'Antonio resta splendido come sempre: personaggi ben caratterizzati, scene di movimento plastiche e ben costruite, gusto dell'inquadratura senza sbavature e montaggio della tavola di grande sapienza.
Sul fronte del testo, dopo anni di West romanzato sulla base degli avvenimenti storici, l'autore opta per un tono più da commedia, sia pure d'azione. I battibecchi tra i due protagonisti, i siparietti tra i delinquenti di secondo piano e l'intero impianto della vicenda, basata su una caccia al tesoro che ricorda per molti versi il film "Questo pazzo, pazzo, pazzo, pazzo mondo", sono giocati sul filo dell'ironia che sdrammatizza cannonate, sparatorie e morti brutalmente ammazzati che pure abbondano.
La serie non ebbe un grande successo, durando solo 16 numeri. Forse la voglia di leggerezza (non dissimile da quella delle storie della giovanissima Susanna che D'Antonio realizzava per il Giornalino) aveva tradito l'autore facendogli prendere una strada totalmente divergente da quella della maggioranza dei lettori che stava evolvendo e sarebbe sfociata nello splatter di Dylan Dog e poi, col nuovo secolo, in una decisa virata verso serie televisive e film western crudi, polverosi, sanguinari, intrisi di sesso e in qualche modo "malati".
C'è ancora D'Antonio ai testi della parte iniziale di "Bandidos!", volume autoconclusivo affidato al tratto di uno stanco Renzo Calegari che, a differenza degli artisti su citati, nella deformazione del disegno sopravvenuta con l'età, anziché ingrandirle le teste le rimpicciolisce al punto che in alcune vignette sembrano delle tsantsa. Anche questa storia, che apparirà in appendice a tutti i numeri della collana, l'avevo già letta nel 2007 quando uscì, postuma per lo sceneggiatore. Confesso che mi aveva deluso sia dal punto di vista dei testi che delle immagini, e quando avevo svuotato una parte delle mie librerie ci avevo rinunciato senza problemi.
E' stato comunque un piacere ritrovare il bel disegno e l'intelligenza di Gino D'Antonio che, anche se nella sua vita professionale si è tolto tutte le soddisfazioni possibili, non è forse stato utilizzato come avrebbe meritato. Se Sergio Bonelli fosse stato solo un editore e non anche uno sceneggiatore che, era inevitabile, ha riempito la propria redazione di suoi simili, D'Antonio sarebbe stato il perfetto direttore editoriale. Abile con le parole come col pennino, avrebbe potuto dare alla casa editrice un maggiore equilibrio mediando tra le necessità degli autori dei testi e di quelli dei disegni e favorendo il massimo sviluppo delle abilità degli uni e degli altri, come anche evitare la stesura di un contratto pesantemente sbilanciato a favore degli sceneggiatori come quello partorito da Bonelli e Castelli (ne ho parlato ampiamente nel mio saggio di cui vedete qui sotto la copertina).
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