Fuori-serie perché, mentre le altre storie sono realizzate cercando di imitare narrazione-costruzione-disegno del creatore del personaggio, qui François Schuiten si prende molte libertà rispetto all'originale. Vediamo quali.
Cominciamo dal disegno. A differenza di quello di Jacobs, perfettamente aderente (almeno prima dell'evoluzione grafica delle ultimissime storie disegnate) alla filosofia della Ligne Claire hergéiana, quello dell'autore de "L'ultimo faraone" richiama piuttosto le incisioni di Gustave Doré riuscendo nel piccolo miracolo di rendere modernissimo un tratto che più classico non si può. Un'infinita serie di tratteggi, che richiamano in certi momenti anche il primo Moebius, portano le tavole di Schuiten nel regno dei mezzi toni e delle sfumature ottenuti sempre con l'accostarsi di decise e precise linee qui più robuste e là quasi impalpabili.
La figura del protagonista, specialmente all'inizio ingobbita in modo quasi sgradevole ma adatta a un personaggio qui visto nella sua dolente vecchiaia ("...non ho più vent'anni!", ammette consapevolmente a un certo punto della storia), ha perso lo smalto delle avventure giovanili, e pure lo spirito sembra non sostenerlo come una volta.
Le pagine si sviluppano con un numero di vignette minore rispetto a quello degli episodi classici e dei nuovi realizzati dai diversi autori che si stanno succedendo nel compito di continuare la saga, ma comunque in linea con le ultime realizzazioni jacobsiane e con le necessità espressive del ricchissimo stile barocco dell'autore di Bruxelles.
Sul fronte della storia, opera del trio formato da Schuiten, Thomas Gunzig e Jaco Van Dormael, la vicenda è decisamente in linea con quelle del creatore, collegandosi direttamente al dittico egiziano de "Il mistero della grande piramide", anche se ne esce parzialmente indirizzandosi a un'atmosfera catastrofica-New Age fino al finale decisamente utopico. La narrazione scorre in ogni caso piacevolmente, pur se si sente la mancanza di un avversario olrikiano.
Lo stile narrativo cerca di riprendere quello delle origini abbondando di didascalie con un eccesso di quelle pleonastiche (ne ho parlato nel mio libro) e imitando il segno calligrafico che, a causa della dimensione delle vignette, risulta a tratti esageratamente grande.
Ottimo il lavoro del colorista Laurent Durieux che riesce a esaltare, senza coprirlo, il gran lavoro del disegnatore.
Il risultato complessivo è un bel volume che non può mancare nella libreria del collezionista ma che, per la particolarità e ricchezza delle immagini, può attirare anche chi non ha mai seguito il personaggio.
Al termine del monumentale lavoro (il volume ha il doppio della canoniche 46 pagine delle pubblicazioni d'Oltralpe), François Schuiten ha dichiarato il suo abbandono della scena fumettistica dichiarando che, fuori da produzioni che - per la presenza di un personaggio che ne garantisce di per sé le vendite - sono in grado di garantire un adeguato compenso agli autori, è ormai impossibile lavorare ai livelli richiesti da un'opera come questa. Ma di ciò abbiamo già parlato altrove.
Nello stesso periodo del volume fuori serie di Schuiten è uscita la storia in due volumi "La vallée des immortels", rispettivamente "Menace sur Hong Kong" e "Le millième bras du Mékong" (cioè La valle degli immortali, Minaccia su Hong Kong e Il millesimo braccio del Mekong").
La sceneggiatura dell'ormai colonna portante della serie Yves Sente è servita efficacemente dalle matite dei nuovi arrivi Teun Berserik e Peter Van Dongen (che si occupa anche dei colori). Questi ultimi riescono a replicare in modo sostanzialmente mimetico il disegno del creatore del personaggio (anche se per il mio gusto il miglior continuatore è Antoine Aubin), con grande ricchezza di scenari e mezzi meccanici. Compresi quelli di totale fantasia che si mantengono in linea con le invenzioni dei primi due volumi della serie (spezzettati in tre nella più recente edizione), il primo e il secondo de "Le secret de l'Espadon". Da quella storia prende le mosse la nuova vicenda che si colloca subito dopo di essa, riallacciandovisi replicandone alcune scene.
I problemi nascono nella parte finale del secondo volume quando dalla scienza fantastica che era il marchio di Jacobs si scivola senza alcuna remora nella fiaba: se la ricerca dell'eterna giovinezza è un tema classico della narrativa avventurosa, e condotto con criterio ci poteva stare, accostargli streghe dagli arcani poteri e persino draghi volanti ci porta irrimediabilmente nel fantasy del Trono di Spade. Se la deriva New Age di Schuiten e soci di cui ho parlato prima può essere accettata in un volume fuori serie, questo cambiamento di genere non è facilmente tollerabile nella serie regolare.
Uno scivolone che non mi sarei aspettato, vista la cura posta fin qui dagli eredi nel rispettare la filosofia jacobsiana pur nell'aggiornamento riscontrabile soprattutto nell'inserimento di personaggi femminili volitivi.
Speriamo sia la prima e l'ultima volta.
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