domenica 25 maggio 2025

Contando i quadretti


Nel Dopoguerra chi stampava fumetti doveva scontrarsi con la scarsità della carta disponibile e il conseguente elevato costo. L'unica soluzione era realizzare albi di poche pagine che, per risultare comunque appetibili per i lettori, dovevano condensare in ogni pagina un gran numero di vignette, magari con storie dal ritmo sostenuto per rendere ancora più soddisfacente la lettura.
Così, in copertina, invece del numero delle pagine si pubblicizzava il numero delle vignette (chiamate popolarmente "quadri" o "quadretti") contenute nell'albo.
Era, per necessità, l'uovo di Colombo, editorialmente parlando.









Poi le cose sono migliorate. Il costo della materia prima è diminuito, mentre l'Italia si avviava a vivere un boom economico che, per i lettori di fumetti, significava maggiori disponibilità economiche da investire nella loro passione e, contemporaneamente, "fame" di pubblicazioni sempre più corpose. Questo portò piano piano al tramonto degli albi più "poveri", partendo da quelli a striscia che lasciarono il posto al formato quaderno, al "gigante" e alle raccolte dalla generosa foliazione.


Oggi la situazione sembra essersi invertita di nuovo. In parte per il prezzo della carta, lievitato robustamente negli ultimi anni a causa questa volta soprattutto delle nuove forme di utilizzo del materiale, a cominciare dal massiccio uso che ne fanno i venditori online per confezionare le loro spedizioni, Amazon in primis. Poi, mentre molta produzione fumettistica si è spostata sulla libreria dove l'alto prezzo di copertina permette di compensare i costi lievitati e l'abbassamento delle tirature, la crisi delle edicole e dei prodotti a esse destinati sta costringendo gli editori a una continua rincorsa agli aumenti per far quadrare i conti a fronte delle crescenti spese e del crollo delle vendite.
Diventa così lecito domandarsi se non sia il momento di ripercorrere le orme dei nostri genitori e nonni riducendo il numero delle pagine degli albi da edicola aumentando al contempo quello delle vignette per pagina e il ritmo della narrazione affinché la lettura non risulti meno interessante. Non dovrebbe essere difficile, anche se negli scorsi decenni molti sceneggiatori si sono avvezzati a un annacquamento delle storie inseguendo modelli cinematografici a mio parere deleteri. Sarà la crisi a farli tornare sui loro passi e riscoprire le cadenze sincopate (aiutate anche da un intelligente uso delle didascalie) del fumetto che fu, in un Belpaese povero ma ricco di fantasia e determinazione?



La Bonelli sembra aver già mosso qualche passo in questa direzione, riducendo recentemente la foliazione di Dampyr per non ritoccarne il prezzo, come avevano già fatto Martin Mystère e le collane della Bugs Comics Samuel Stern e Kalya. Non so se contemporaneamente siano state anche condensate le vicende e/o aumentata la quantità di "quadretti" per pagina, ma credo che la direzione si renderà presto obbligata per un sempre maggior numero di testate.


   

Le Sacre Freddure


L'idea di realizzare la Bibbia a fumetti mi solleticava da tempo. In fondo è il primo libro stampato da Gutenberg e credo, a tutt'oggi, ancora il più venduto nel mondo.
Così, dopo essermi approcciato a una versione a strisce umoristiche della Divina Commedia col "Dante", diventato dopo il successo di pubblico tra i lettori de il Giornalino un vero evergreen in fumetterie e librerie dove vende ininterrottamente da trent'anni, e aver raccontato una battuta dopo l'altra tutto Omero, l'Eneide, la Gerusalemme Liberata, i Promessi Sposi, Guerre Stellari e varie biografie a partire dal già citato Dante a Berlusconi e Mussolini, appena ne ho avuta l'occasione ho messo mano alla Genesi.



Un primo tentativo lo feci proponendo l'operazione sulla rivista Fumo di China che, all'epoca, era gestita da Cartoon Club sotto l'ombrello della Coges, ragione sociale dell'Acli di Rimini. Una redattrice, per prudenza, sottopose le prime strisce a non so quale eminenza locale che bocciò seccamente il progetto sentenziando che "Dio non parla così!"


Andò meglio quando la testata passò sotto la gestione della Freecom che accettò di portare in edicola una one man magazine, Fritto Misto, dove tra una parodia di Spider-Man e una di Topolino, infilai la mia rilettura delle Sacre Scritture. La rivistina, un po' per l'asfittica situazione di mercato, un po' per il Covid che non aiutò certo le vendite, naufragò nel giro di due numeri (il terzo avrebbe dovuto ospitare la prima parte della parodia de Il Trono di Spade... prima o poi finirò anche quella, se la salute mi regge) e "DIO, la Bibbia a fumetti" tornò mestamente nel cassetto.



Ora, conclusa un'altra importante rilettura, il Pinocchio di Collodi che prenderà tra qualche mese la via delle librerie, e mentre ho messo finalmente mano alle mie memorie infantili in forma di graphic novel di cui vi ho già parlato, ho deciso di riprendere in mano anche il progetto biblico per realizzare almeno l'intera Genesi.
Da qualche settimana dedico quindi il mattino alla scrittura delle battute della mia nuova opera. Lavoro divertente quanto fluido e veloce: la Bibbia è una vera inesauribile fonte di situazioni umoristiche, se la si legge con l'occhio del non credente e il mestiere dello strisciaiolo.
In questo contesto ho anche ripreso in mano le strip già realizzate per colorarle, vedi mai che capiti l'occasione di cominciare a pubblicarle su qualche rivista in attesa della raccolta in volume. Le pubblico tutte qui di seguito come antipasto in attesa di servirvi il libro completo e confidando di non risultare per i più religiosi fastidioso od offensivo. In fondo è solo un gioco, e bisogna riconoscere che a una lettura letterale il racconto biblico è pieno di storie, situazioni e contraddizioni che decisamente - è il caso di dirlo - non stanno né in Cielo né in Terra.









domenica 18 maggio 2025

Un poliziotto coi guantoni da boxe


Dopo aver raccolto in un agile volumetto tutte le storie dedicato a Capitan Falco, uno dei personaggi creati nell'infanzia, adesso ho dato alle stampe l'integrale delle avventure di Atlas, il personaggio di mia totale invenzione del quale ho realizzato più avventure.
Nell'introduzione del libro scrivo: "Io e mio fratello Marco fummo folgorati sulla via del fumetto da il Monello, primo giornalino entrato in casa nostra. Per sfogare la nostra passione, cominciammo ben presto a farci da soli degli albetti come se fossero veri, con tanto di casa editrice. La mia, riprendendo il nome da Roland Eagle, personaggio del settimanale Intrepido, si chiamò Edizioni Eagle (che, non conoscendo una parola d’inglese, leggevo come era scritto). La mia prima pubblicazione fu Taddeo e il prof. Talpucci. I protagonisti erano la versione disneyana di quelli de “Il vento tra i salici”. Li avevo copiati da un librone prestatoci da chissà chi. Io ne feci una versione avventurosa spedendoli ad Atlantide e, nel secondo numero, addirittura sulla Luna a bordo rispettivamente di una moto e un’auto azionate da... benzina volante.
Con Marco, disegnavamo direttamente a penna su fogli presi dai quaderni di scuola e coloravamo con le matite, confezionandoli poi con le graffette tolte ai Grand Hotel (altra pubblicazione della Casa Editrice Universo, come le due prima citate) di nostra madre, prima che li buttasse via. Ci facevamo reciprocamente pubblicità sui nostri piccoli albi, con grande fair play editoriale. Dopo Taddeo e Talpucci sono arrivati molti altri personaggi, avventurosi e umoristici. Senz’altri limiti che quello della nostra fantasia spaziavamo dal genere umoristico a quello avventuroso, dall'western alla fantascienza, dal poliziesco al preistorico. I protagonisti delle mie storie erano inizialmente presi dai giornalini che leggevo (Capitan Condor, Pecos Bill, Rio Cid, Il grande Blek...) e poi, pian piano, anche inventati di sana pianta come Ribo e Robo, Zagar, Ser Lanciair, I Tre del West e Bonzo.



La mia prima creazione autonoma fu Atlas, uno strano pugile-poliziotto le cui avventure hanno poi attraversato tutte le collane partorite negli anni crescendo e modificandosi. Anche se le sue fattezze iniziali erano abbastanza assurde (testina pelata, tuta rossa integrale con una grossa A gialla sul petto e guantoni da boxe che non gli impedivano di impugnare redini, pistole e quant’altro), in fondo è in quel suo look ingenuo che gli sono più affezionato e risulta - come si dice oggi - più iconico. Atlas fu anche causa di un’emozione fortissima quando, alcuni mesi dopo averlo creato, vidi su il Monello la pubblicità di un nuovo personaggio: Atlas! C’era solo il nome, senza illustrazioni, e per me fu una cosa sconvolgente! Non riuscivo a capire cosa stava succedendo. Che ci faceva il mio personaggio sul settimanale della Universo? Come ci era arrivato? Rimasi scombussolato per tutti i sette giorni fino all’uscita del nuovo numero quando finalmente scoprii che si trattava di tutt’altra cosa: l’albo allegato conteneva infatti le avventure fantascientifiche di un ragazzino disegnate da Loredano Ugolini. Niente a che vedere col mio muscoloso eroe in tuta rossa, dunque, solo una coincidenza di nome.


Come ho detto, Atlas passò da una all’altra delle pubblicazioni da me scritte e disegnate da lì in poi attraverso continui cambi di formato; questo ha reso difficile raccoglierle tutte in un unico volume che costringerà i lettori a girarselo e rigirarselo in mano per seguire tutta l’evoluzione del personaggio, grafica e narrativa. Credo che valga la fatica, per assaporare quelle storie ingenue quanto genuine, piene di strafalcioni grammaticali, uso errato delle parole, storpiature di modi di dire e persino finti rimontaggi che, per far sembrare il giornalino più vero, mi inventavo come se si trattasse di storie precedentemente pubblicate su albi da quattro vignette per pagina riadattate al formato delle tre strisce (come si vede qui sotto).


Quella raccolta in questo volume è una carrellata di avventure ambientate ai quattro angoli del mondo che ci rituffa in un’epoca ormai lontanissima in cui una manciata di quadretti colorati poteva aprire squarci nella faticosa e povera quotidianità del dopoguerra proiettandoci in mondi fantastici."



Ora restano da pubblicare, se ne avrò tempo e modo, le storie del mio terzo e ultimo personaggio “importante", il cavernicolo Bonzo. Se non altro lo devo a mio figlio: quand'era un bambino aveva voluto leggere i miei giornalini infantili e, di tutti protagonisti, il biondo eroe preistorico era il suo preferito.




Il libro, naturalmente, è in vendita su Amazon (link nella prima parte del post).



venerdì 16 maggio 2025

Due chiacchiere in fiera


Non amo apparire in video, ma non sempre posso dire di no. In fondo il nostro mestiere oggi richiede anche di fare pubblicità ai propri lavori, così ogni tanto lascio che mi carpiscano un'intervista, come è successo un paio di anni fa in occasione del BeComics di Padova. La trovate qui.

  

giovedì 8 maggio 2025

Cresciuto al Grattacielo


Qualche anno fa, a una fiera libraria fiorentina dove con Maila Nosiglia presentavamo la prima edizione di "Democrazia davvero", mi trovai a raccontare all'amica un po' della storia della mia particolare famiglia: il padre fanatico religioso che arrivò a farsi una chiesa da solo applicando alla lettera i dettami delle Sacre Scritture, i genitori separati in casa, il sentimento nato tra mia madre e un uomo sposato anche lui e la figlia che ne nacque, un appartamento al di sopra delle nostre possibilità che ci teneva in costante mancanza di soldi, tra acquisti avventati di mobili che dopo pochi mesi venivano riportati via dagli ufficiali giudiziari (talvolta scambiati da mio padre per amanti di mia madre, con inseguimenti per cinque piani di scale, accetta alla mano), la scuola di musica a cui ci costringeva il babbo anche se gli insegnanti ci chiamavano "la famiglia Stonatelli"... insomma, come commentò Maila, materiale sufficiente per farci un romanzo!


Le dissi che l'idea (anzi, il bisogno) di raccontare quegli anni, soprattutto quelli vissuti al Grattacielo fino all'inizio dell'adolescenza, lo sentivo da un po' e avevo già cominciato a scrivere. Ma non in forma di romanzo, bensì a fumetti, visto che è quello il "linguaggio" col quale mi viene naturale esprimermi.
E in occasione di una breve vacanza, in una camera con un terrazzino due metri sopra gli scogli e il mare, ne ho scritta di getto gran parte. Poi è rimasto lì. A frenarmi dal metter mano alla matita c'erano due fattori.
Da una parte le contingenze professionali: il rapporto con la casa editrice Shockdom andava bene e le relative vendite anche, per cui ero "obbligato" a dare la precedenza alle proposte dell'editore bresciano, da Dante a Omero, ai Promessi Sposi, a Benito. A questo si è aggiunta la scoperta del servizio KDP di Amazon che, permettendomi di stampare tutto quello che mi saltava in mente senza problemi di partita IVA, commercialisti e magazzino, mi ha riportato all'infanzia quando con mio fratello ci facevamo i giornalini in casa: una libertà totale e un divertimento assoluto che, lo confesso, mi hanno preso la mano facendomi pubblicare in tre anni (oltre ai libri per la Shockdom, la collaborazione con l'editore Guida e altri impegni lavorativi come le vignette per Famiglia Cristiana) già venti volumi tra fumetti, romanzi e saggi di varia natura.
Da un'altra parte c'era il problema del disegno: con quale stile realizzare le tavole di un fumetto del genere? Il mio disegno "realistico" ligne claire non mi sembrava adatto, e sarebbe pure risultato "faticoso", rallentando ulteriormente il lavoro che per mole si presentava impegnativo. D'altronde anche il disegno delle strisce umoristiche non era del tutto adeguato seppure, in quanto linguaggio "infantile", per certi versi in linea col progetto. Così, per mesi diventati rapidamente anni, ho continuato a guardare tra i fumetti delle mie librerie e quanto mi capitava di vedere online alla ricerca di spunti, suggerimenti e idee. Senza trovare soluzioni convincenti.


Terminato il Pinocchio a fumetti che mi ha impegnato negli ultimi mesi dell'anno scorso, il racconto degli anni del Grattacielo era tra i programmi immediati di quest'anno, come si può leggere nei buoni propositi fatti a gennaio, ma, permanendo tutti i problemi relativi al tipo di disegno da utilizzare, era più una decisione programmatica che una reale convinzione. Immaginavo di dovermi mettere a buttar giù centinaia di bozzetti e scarabocchi nella disperata ricerca del segno giusto, prima di poter avviare davvero l'opera. Invece qualche giorno fa, in un modo sorprendente mai sperimentato prima, mi si è imposta direi fisicamente la necessità di iniziare il mio lavoro autobiografico.


Ho messo da parte l'Atlas (uno dei miei lavori infantili che mi appresto a presentare con le Edizioni Foxtrot) che stavo impaginando e, buttate giù in pochi minuti le fattezze mie e dei miei fratelli, venute buone alla prima, ho cominciato a squadrare i fogli. Improvvisamente avevo tutto chiaro in testa, e "Il Grattacielo" (titolo provvisorio) ha cominciato a prendere forma senza ulteriori incertezze e tentennamenti. Per le fattezze e proporzioni dei miei genitori non c'è stato neanche bisogno di schizzi preliminari: sono usciti dalla matita praticamente da soli direttamente in bella copia, molto meglio di quanto avrei potuto immaginarli.
Vedete qui sopra e sotto (insieme agli unici bozzetti buttati giù prima di mettermi al lavoro) le prime tavole, alle quali aggiungo alcune delle pochissime foto che conservo della mia infanzia (cliccate sulle immagini, per ingrandirle).


Alla fine, come si vede, ha prevalso il disegno "bambinesco" adeguato a quello che è di fatto un racconto a livello di ragazzino, con qualche piccola variazione (rispetto a quello delle mie strip) della struttura dei personaggi e soprattutto nella realizzazione degli occhi per i quali ho scelto il semplice pallino nero alla Tintin invece degli occhioni tondi alla Dante.






Non so quanto tempo impiegherò a finire l'opera visto che ogni tanto dovrò interromperla per far spazio a impegni professionali contingenti, ma quel che è certo è che il cammino è iniziato e procede di buon passo con una convinzione e un'emozione che non mi aspettavo: disegnando da giovani i miei genitori che non ci sono più e Marco, il fratello che se n'è andato anni fa, mi sembra di restituire loro un pizzico di vita. E questa è una sensazione che non ha prezzo.









domenica 4 maggio 2025

Un, due, tre... Diabolik!


Anche se in casa i figli ci fanno sfruttare i loro abbonamenti a Netflix e altro, per pigrizia mia (e, tutto sommato, disinteresse) guardo solo quel che passano quella trentina di canali tv gratuiti, e recupero un po' di robe su RaiPlay e MediasetInfinity, con qualche sporadica occhiata a RakutenTv. Così ho atteso con tutta calma che il trittico di film di Diabolik dei Manetti Bros arrivasse in Rai, i primi due qualche mese fa e il terzo in questi giorni, per vedere cos'avevano combinato i due registi. Naturalmente, nel frattempo avevo già letto qui e là commenti e recensioni.


Fuori tempo massimo, ecco dunque anche il mio parere di (ex) lettore di Diabolik, spettatore distratto e addetto ai lavori dell'editoria.
L'impressione è che i Manetti abbiano deciso, forse nell'idea di aderire più adeguatamente al personaggio, di fare dei film "come se" fossero stati fatti negli anni sessanta. E bisogna dire che il compitino è stato svolto al meglio. "Diabolik" sembra infatti un film di quell'epoca con tutti, ma proprio tutti i difetti di quelle produzioni: inquadrature banali, tempi teatrali, fotografia sbiadita, inseguimenti soporiferi, dialoghi didascalici, recitazione piatta.


Per quello che riguarda gli attori, bene Mastandrea che riesce a essere (nei limiti dell'operazione) un convincente Ginko; molto in parte, soprattutto come physique du rôle, Miriam Leone nei panni di Eva Kant, inadatto da tutti i punti di vista Luca Marinelli/Diabolik, inevitabilmente sostituito nel secondo capitolo della trilogia.


Il primo film riprende la trama dell'episodio con l'arresto di Diabolik e l'incontro con Eva Kant, che a sua volta riprendeva quello della cattura ed esecuzione di Fantomas che sto leggendo in questo periodo. Una curiosità: il trucco per salvarsi dall'esecuzione tramite impiccagione escogitato da Allain e Souvestre, un tubo di gomma infilato in gola, anziché le sorelle Giussani (che pure, per le prime storie del loro criminale avevano saccheggiato tranquillamente i libri del Re del Delitto francese) lo copiò in quegli anni Luciano Secchi/Max Bunker su Kriminal.





Per il resto, nulla da aggiungere per questa pellicola al giudizio generico su scritto sui film dei due fratelli.


Il secondo film non si discosta molto dal primo. Con l'arrivo di Giacomo Gianniotti migliora la presenza scenica del protagonista, ma la new entry Monica Bellucci nei panni di Altea di Vallenberg fa sprofondare la godibilità della pellicola con l'abituale, inascoltabile recitazione. Pessima anche la gestione della trama, con Eva Kant che si finge bloccata tra le rocce e viene abbandonata dal compagno, ma quando arriva Ginko è di nuovo improvvisamente in grado di muoversi e fuggire gettandosi nel fiume!


Le cose migliorano un po' col terzo e ultimo capitolo della serie, "Diabolik chi sei?". La fotografia è meno smorta, e anche se la recitazione soprattutto dei componenti della banda dei rapinatori continua a essere penosamente "da anni sessanta", la trama riesce a coinvolgere un po' di più e il racconto della giovinezza di Diabolik realizzato con un efficace bianco e nero tiene in piedi tutto il film. Perfetto anche, nella parte del Diabolik ventenne, il giovane Lorenzo Zurzolo che ha finalmente volto e recitazione adeguati al ruolo. Con qualche anno in più sulle spalle, potrà essere l'interprete giusto per eventuali nuovi film sul Signore del Crimine.

L'impressione finale è quella di un'operazione nata su presupposti infelici che forse avrà fatto contenti i più tradizionalisti lettori della prim'ora, ma ci lascia con un prodotto davvero poco esportabile nelle attuali condizioni e convenzioni di mercato. Purtroppo la cinematografia italiana sembra non volere (o potere, per mancanza di mezzi, intelligenze e competenze) percorrere la strada dei film di genere adeguandosi a ritmi e tecnologie a cui ci hanno abituati le produzioni di altri paesi e che pure, senza andare troppo lontani, troviamo in nazioni come la Francia.