Qualche anno fa, a una fiera libraria fiorentina dove con Maila Nosiglia presentavamo la prima edizione di "Democrazia davvero", mi trovai a raccontare all'amica un po' della storia della mia particolare famiglia: il padre fanatico religioso che arrivò a farsi una chiesa da solo applicando alla lettera i dettami delle Sacre Scritture, i genitori separati in casa, il sentimento nato tra mia madre e un uomo sposato anche lui e la figlia che ne nacque, un appartamento al di sopra delle nostre possibilità che ci teneva in costante mancanza di soldi, tra acquisti avventati di mobili che dopo pochi mesi venivano riportati via dagli ufficiali giudiziari (talvolta scambiati da mio padre per amanti di mia madre, con inseguimenti per cinque piani di scale, accetta alla mano), la scuola di musica a cui ci costringeva il babbo anche se gli insegnanti ci chiamavano "la famiglia Stonatelli"... insomma, come commentò Maila, materiale sufficiente per farci un romanzo!
Le dissi che l'idea (anzi, il bisogno) di raccontare quegli anni, soprattutto quelli vissuti al Grattacielo fino all'inizio dell'adolescenza, lo sentivo da un po' e avevo già cominciato a scrivere. Ma non in forma di romanzo, bensì a fumetti, visto che è quello il "linguaggio" col quale mi viene naturale esprimermi.
E in occasione di una breve vacanza, in una camera con un terrazzino due metri sopra gli scogli e il mare, ne ho scritta di getto gran parte. Poi è rimasto lì. A frenarmi dal metter mano alla matita c'erano due fattori.
Da una parte le contingenze professionali: il rapporto con la casa editrice Shockdom andava bene e le relative vendite anche, per cui ero "obbligato" a dare la precedenza alle proposte dell'editore bresciano, da Dante a Omero, ai Promessi Sposi, a Benito. A questo si è aggiunta la scoperta del servizio KDP di Amazon che, permettendomi di stampare tutto quello che mi saltava in mente senza problemi di partita IVA, commercialisti e magazzino, mi ha riportato all'infanzia quando con mio fratello ci facevamo i giornalini in casa: una libertà totale e un divertimento assoluto che, lo confesso, mi hanno preso la mano facendomi pubblicare in tre anni (oltre ai libri per la Shockdom, la collaborazione con l'editore Guida e altri impegni lavorativi come le vignette per Famiglia Cristiana) già venti volumi tra fumetti, romanzi e saggi di varia natura.
Da un'altra parte c'era il problema del disegno: con quale stile realizzare le tavole di un fumetto del genere? Il mio disegno "realistico" ligne claire non mi sembrava adatto, e sarebbe pure risultato "faticoso", rallentando ulteriormente il lavoro che per mole si presentava impegnativo. D'altronde anche il disegno delle strisce umoristiche non era del tutto adeguato seppure, in quanto linguaggio "infantile", per certi versi in linea col progetto. Così, per mesi diventati rapidamente anni, ho continuato a guardare tra i fumetti delle mie librerie e quanto mi capitava di vedere online alla ricerca di spunti, suggerimenti e idee. Senza trovare soluzioni convincenti.
Terminato il Pinocchio a fumetti che mi ha impegnato negli ultimi mesi dell'anno scorso, il racconto degli anni del Grattacielo era tra i programmi immediati di quest'anno, come si può leggere nei buoni propositi fatti a gennaio, ma, permanendo tutti i problemi relativi al tipo di disegno da utilizzare, era più una decisione programmatica che una reale convinzione. Immaginavo di dovermi mettere a buttar giù centinaia di bozzetti e scarabocchi nella disperata ricerca del segno giusto, prima di poter avviare davvero l'opera. Invece qualche giorno fa, in un modo sorprendente mai sperimentato prima, mi si è imposta direi fisicamente la necessità di iniziare il mio lavoro autobiografico.
Ho messo da parte l'Atlas (uno dei miei lavori infantili che mi appresto a presentare con le Edizioni Foxtrot) che stavo impaginando e, buttate giù in pochi minuti le fattezze mie e dei miei fratelli, venute buone alla prima, ho cominciato a squadrare i fogli. Improvvisamente avevo tutto chiaro in testa, e "Il Grattacielo" (titolo provvisorio) ha cominciato a prendere forma senza ulteriori incertezze e tentennamenti. Per le fattezze e proporzioni dei miei genitori non c'è stato neanche bisogno di schizzi preliminari: sono usciti dalla matita praticamente da soli direttamente in bella copia, molto meglio di quanto avrei potuto immaginarli.
Vedete qui sopra e sotto (insieme agli unici bozzetti buttati giù prima di mettermi al lavoro) le prime tavole, alle quali aggiungo alcune delle pochissime foto che conservo della mia infanzia (cliccate sulle immagini, per ingrandirle).
Alla fine, come si vede, ha prevalso il disegno "bambinesco" adeguato a quello che è di fatto un racconto a livello di ragazzino, con qualche piccola variazione (rispetto a quello delle mie strip) della struttura dei personaggi e soprattutto nella realizzazione degli occhi per i quali ho scelto il semplice pallino nero alla Tintin invece degli occhioni tondi alla Dante.
Non so quanto tempo impiegherò a finire l'opera visto che ogni tanto dovrò interromperla per far spazio a impegni professionali contingenti, ma quel che è certo è che il cammino è iniziato e procede di buon passo con una convinzione e un'emozione che non mi aspettavo: disegnando da giovani i miei genitori che non ci sono più e Marco, il fratello che se n'è andato anni fa, mi sembra di restituire loro un pizzico di vita. E questa è una sensazione che non ha prezzo.
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