lunedì 20 marzo 2017

Come si presenta un romanzo?

Venerdì 24 marzo sarò alla libreria-caffè Le Cicale Operose di Livorno per presentare il romanzo "Il pianeta scomparso"... e non ho la più pallida idea di come si faccia! Ho sempre pensato che un romanzo dovrebbe presentarsi da solo, sia pure con l'aiuto della copertina e del riassunto sul retro. Naturalmente, nei prossimi giorni mi informerò, in modo da non deludere chi verrà all'incontro.
Intanto, però, posso presentarlo qui. O meglio, lasciare che si presenti da solo. Da stasera fino a giovedì ne pubblicherò un capitolo al giorno. E dunque... buona lettura.






Prologo



Era il giorno del suo sedicesimo compleanno, quando Anya incontrò per la prima volta l'Uomo Nero. Ovviamente non sapeva ancora chi le stesse realmente di fronte. In quel momento non poteva neppure concepire l'esistenza di una simile creatura, di un tale concentrato di malvagità e spietatezza. Né immaginava che quell’essere mostruoso sarebbe entrato nella sua vita distruggendo tutto ciò che conosceva ed amava, facendo tabula rasa delle sue certezze e dei suoi sogni. E trasformando il suo futuro in un incubo apparentemente senza fine.

Come ogni estate, già da qualche settimana si era trasferita con la famiglia nella casa al mare per trascorrere la villeggiatura nella graziosa località sulla costa toscana, poco sotto Livorno. Già da quando era ancora una bambina, in quella stagione le accadeva di lasciarsi andare a fantasticherie amorose nei confronti di qualunque ragazzo ella incontrasse nel corso delle sue passeggiate in paese o sul lungomare, da sola o in compagnia dei genitori. Era un naturale sfogo, dopo aver trascorso il resto dell'anno confinata tra le pareti del severissimo Istituto Femminile del Sacro Cuore della sua città dove, sotto la rigida sorveglianza delle suore che gestivano la scuola, attendeva agli studi liceali senza avere occasione di incontrare o anche solo vedere da lontano coetanei maschi.
In estate la sua vita cambiava. I genitori erano di mentalità molto aperta, per l'epoca, tanto che lei si era domandata spesso come mai per i suoi studi avessero invece scelto una scuola tanto tradizionalista e oppressiva. Il padre, Eugenio Gandes, era uno scrittore molto popolare. Con lo pseudonimo di Kialver, scriveva romanzi d'avventura ambientati in posti esotici e pieni di prìncipi, corsari o giovani tenenti affascinanti e coraggiosi sempre pronti ad accorrere in difesa di fanciulle tanto belle quanto sventurate. La madre, Silvana Gorla, era un'attrice di teatro abbastanza famosa.
Anya era libera di muoversi per il paese senza alcun controllo, e se l'educazione ricevuta la tratteneva dal lasciarsi andare a comportamenti meno che corretti, non le impediva di sbirciare senza farsene accorgere ogni ragazzo che incontrava. Se il giovane oggetto del suo interesse era di bell'aspetto e robusta costituzione fisica, la sua indole romantica la spingeva a immaginare storie eroiche nelle quali lui veniva a salvarla dalle grinfie di individui meschini e malvagi, ma anche i tipi più gracili riuscivano a trovare un posto nella sua fantasia, divenendo dolcissimi poeti capaci di suscitare in lei grandi passioni con le loro ispirate parole. Addirittura, arrivava a sognare amori torbidi e un po' malati, ma assolutamente coinvolgenti, con storpi e dementi.
Nel giorno del suo genetliaco, nella tarda mattinata, si era recata con la madre alla stazione per accogliere il genitore, di ritorno da un rapido viaggio a Genova dove era andato a consegnare all'editore il manoscritto della sua ultima fatica, "L'erede dei Barrington". Mentre attendeva che il genitore scendesse dal treno, la fanciulla notò un giovanotto alto e magro che, fermo sulla porta del vagone, si guardava intorno come se si stesse affacciando per la prima volta non in quella località di mare, ma nel mondo. Se ne innamorò puntualmente, facendone l'eroe di una sua versione de "Il Conte di Montecristo" nella quale, sfidando mille pericoli, il giovane avrebbe portato a termine la propria vendetta contro gli assassini dei genitori che lo avevano costretto, a soli dodici anni, a lavorare in miniera per sopravvivere.
Con sua grande sorpresa, e procurandole una intensa emozione, il ragazzo scese dal treno e si rivolse proprio all'attrice per chiedere informazioni.
- Mi scusi, signora - disse con un accento di cui Anya, nonostante l'abitudine alle frequentazioni cosmopolite dei genitori, non riuscì ad indovinare la provenienza - sa consigliarmi una pensione pulita e non troppo costosa?
- Credo che la Locanda Bellandi sia quello che fa per lei - gli rispose la donna con un sorriso. Ma in qualche modo il giovanotto doveva averla colpita, perché contrariamente alle sue abitudini d’estrema riservatezza gli domandò: - È qui in villeggiatura?
- No, signora. Sono un giornalista e sto facendo... una ricerca - spiegò lui. - Il mio nome è Junio Bandini.
- Io sono Silvana Gorla, l'attrice. Forse ha sentito parlare di me o di mio marito, lo scrittore Kialver.
- Mi spiace - si scusò il giovane. - Mi occupo di cronaca nera, ed il mio lavoro mi lascia poco tempo per libri e spettacoli.
Detto questo, si fece indicare la strada per raggiungere la pensione consigliatagli e si congedò. La ragazza, scoperta la vera occupazione del nuovo oggetto delle sue fantasticherie, mentre lo osservava allontanarsi era già impegnata a riscrivere la trama del suo romanzo d'amore immaginando oscuri intrighi internazionali che vedevano coinvolto anche suo padre e sarebbero stati risolti dal giovane Bandini solo dopo innumerevoli vicissitudini che avrebbero fatto rischiare più volte la vita ad entrambi gli innamorati. Al termine di tante fatiche, però, grato per l'aiuto ricevuto, il padre avrebbe dato con entusiasmo il suo consenso alle nozze e lei avrebbe potuto impalmare l'uomo della sua vita.
L'arrivo del padre, che aveva viaggiato in un vagone di coda, la distolse momentaneamente dai suoi sogni ad occhi aperti.
- Tra le mie braccia, bambina - le disse l’uomo dopo aver scambiato con la moglie un casto bacio. Sembrava aver ritrovato l'allegra euforia di un tempo, quando Anya era ancora davvero una bambina e lui creava di getto le sue storie, ed il suo entusiasmo per la vita riempiva di gioia le stanze della loro casa e gli occhi dell’attrice. Da qualche anno scrivere gli era invece sempre più difficile. Cercava di aiutarsi, senza troppo successo, con l'assenzio e con droghe che faceva giungere dal Medio Oriente e fumava in un narghilè, ricordo di un viaggio in Egitto. La fanciulla non sospettava nulla di tutto questo, ma non le sfuggivano lo sguardo pieno di sofferenza del padre, i suoi sempre più frequenti scatti d'ira e come tutto questo si riflettesse su sua madre, ogni giorno più cupa, più disamorata della vita.
Solo quando, con sempre maggiore fatica, portava a compimento un altro dei suoi romanzi ed andava a consegnarlo all’editore tornando a casa con un ricco assegno in tasca, lo scrittore ritrovava per qualche settimana l'irruenza ed il buonumore dei tempi andati.
Anya abbracciò con trasporto il genitore, e sempre tenendolo stretto per la vita, raggiunse la carrozza di piazza che li avrebbe riportati a casa.
Il terzetto, una volta giunto a destinazione, mentre scendeva dalla carrozza si imbatté nel vicino di casa, il colonnello Despotti, un ufficiale in congedo col quale avevano sempre mantenuto rapporti cordiali, anche se superficiali. Dopo aver risposto al saluto dell'attrice, la prima a vederlo, l'uomo scambiò qualche frase di circostanza con lo scrittore, sorridendo educatamente. Mentre i due parlavano, la giovane alzò lo sguardo sul viso dell'uomo, preparandosi a ricevere a sua volta un saluto ed a ricambiarlo. Quando l'ex-ufficiale si girò verso di lei, però, alla ragazza si gelò il cuore nel petto: per un brevissimo istante, le parve che gli occhi del vicino fossero divenuti completamente neri! Sbatté le palpebre, e si ritrovò di fronte il colonnello che, sorridente, le faceva gli auguri per il compleanno. I suoi occhi erano quelli di sempre. La fanciulla farfugliò qualche parola di ringraziamento, poi seguì i genitori verso casa. Un attimo prima di superare il cancelletto, Anya si girò a guardare di nuovo l'uomo. L'ex-ufficiale era fermo davanti all'ingresso del proprio villino e la stava fissando. Sulle sue labbra c'era il sorriso più gelido e minaccioso che la ragazza avesse mai visto.

Serge spegne il manu-lector, lo ripone nello zainetto monospalla e si guarda intorno perplesso. Una parte periferica del suo cervello lo ha registrato già da qualche minuto ma, assorto nella lettura, solo adesso il giovane realizza pienamente che il suo rifugio sta vibrando e ronzando.
Forse non è stata una buona idea nascondersi nell'ovulum di salvataggio per sfuggire ai riti di socializzazione obbligatoria che, in quei primi giorni di crociera, gli sono stati imposti dagli amici e dagli animatori di bordo. Lui detesta tutti quei giochetti a quiz, psico-recite e corsi di ginno-ballo con i quali si cerca di impedire ai croceristi di accorgersi che la loro vacanza è la quintessenza della vacuità e della noia. Serge sa che le cose non cambieranno neanche una volta giunti su Paradisius, il Pianeta dalle Mille Isole. Semplicemente, i "giochi forzati" - come li chiama lui - si trasferiranno sulle rosate spiagge e sul mare.
Non ha mai capito come si possano sprecare in questo modo lunghi periodi della vita!
Per quello che lo riguarda ci sono due sole cose alle quali vale la pena di dedicare il tempo non impegnato nel lavoro: i rapporti umani e la cultura. Incontrare persone, conoscere esperienze diverse, confrontarsi, leggere, allargare le proprie conoscenze... vivere emozioni reali, insomma, mica quell'agitarsi inconcludente, quell'affannarsi a correre, saltare, cantare e ballare a comando, quel divertimento obbligato e superficiale, quella falsa spontaneità organizzata da altri!
Serge per tre giorni aveva fatto buon viso a cattivo gioco e si era lasciato trascinare dai colleghi che, in buona fede, cercavano di "farlo uscire dal suo guscio". Aveva partecipato alla vita di bordo del grande sub-spatier da crociera, sia pure cercando di tenersi il più possibile, se non fuori, almeno al margine delle scontate animazioni proposte a getto continuo dai tirannici intrattenitori dell'Itinerus III. Poi non ce l'aveva fatta più. Quella mattina, prima che arrivassero i soliti buoni samaritani decisi a farlo "divertire almeno una volta nella vita", aveva infilato nello zainetto il lettore digitale arricchito prima della partenza di una decina di nuovi romanzi, ed era uscito dalla cabina diretto alla sezione degli ovulum di salvataggio pensando che lì nessuno l’avrebbe disturbato. Le navicelle vengono controllate prima della partenza, poi nessuno se ne occupa più, a meno che un improbabile pericolo non richieda l'evacuazione del sub-spatier. Infilatosi in una delle scialuppe ovulari e chiuso il portello, si era immerso nella lettura di "Darkiller" sicuro che i suoi colleghi, dopo averlo cercato per un po', sarebbero stati risucchiati dallo spietato meccanismo degli intrattenimenti e avrebbero dovuto interrompere le ricerche lasciandolo alle sue amate letture.
Ora, però, quella strana vibrazione rischia di rovinargli la festa appena cominciata. Si alza dalla poltroncina, raggiunge il portello dell'ovulum e passa la mano davanti al comando d'apertura a sfioramento. Il varco rimane chiuso.
Prima che abbia il tempo di riprovare, l'unico schermo nella consolle della navicella si accende dietro di lui.
- Non riuscirai ad aprirlo. È bloccato - dice una voce conosciuta.
Serge si gira. Dal video lo fissano con espressioni enigmatiche i suoi colleghi Kevin, Ud'Naarrr e Shiroh. Sono in compagnia di uno degli intrattenitori, un tipo già visto nei giorni precedenti, anche se il giovane non ne ricorda il nome.
- Come dovresti sapere, è una misura di sicurezza che scatta automaticamente quando si dà inizio alla procedura di espulsione dell'ovulum - continua il giapponese col suo accento nasale.
- Va bene, va bene - si arrende il giovane, alzando le mani rassegnato. - Mi avete trovato. Vengo con voi e...
- Non hai capito - lo interrompe il viszurrriano con una delle risatine singhiozzanti caratteristiche della sua razza. - La tua navicella sta perrr esserrre sparrrata nel sub-spatium!
- Ragazzi, non fate scherzi! Faccio ammenda del mio tentativo di sottrarmi ai...
- Troppo tardi - interviene di nuovo Shiroh, atteggiandosi buffonescamente a spietato inquisitore. - Il tribunale si è riunito e ha emesso la sentenza! Ti sei reso colpevole di alto tradimento, e per questo verrai estromesso per sempre dal consesso dei croceristi gaudenti!
- Sì. Chi si isola, venga isolato per l'eternità - sentenzia anche Kevin con aria truce.
La vibrazione intanto è cresciuta d'intensità. Serge comincia a sentir montare dentro di sé una delle rabbie sorde tipiche del suo carattere. Cerca di controllarsi. Con il tono di voce più tranquillo che riesce a mettere insieme, prova a cercare l'appoggio dell'animatore: - Senti, amico... come-ti-chiami... direi che il gioco è durato abbastanza! Dài, apri lo sportello di questo guscio di noce e fammi uscire!
Quei cretini dei suoi colleghi possono anche trovare divertente l'idea di spararlo nella melassa del sub-spatium, ma mister entusiasmo-a-pagamento (maledizione! Perché non ne ha memorizzato il nome?) è un dipendente della compagnia di navigazione e non può certo prestarsi al loro scherzo!
O sì?
- Spiacente, ma la procedura non può essere interrotta. Ti consiglio di tornare a sedere e agganciare le cinture, se non vuoi farti del male quando l'ovulum verrà espulso dall'Itinerus III a una velocità di 45 nodi s-s relativi.
O sì.
Il gioco sarà portato fino in fondo.
Abbandonata ogni difesa contro la montante rabbia sorda, Serge torna alla consolle. Si siede. Allaccia la cintura ventrale, poi estrae dallo schienale della poltrona quella sopra la spalla destra e l'aggancia alla vita. Ripete l'operazione dall'altra parte. Una leggera pressione sulla fibbia centrale fa tendere le cinghie. Su un ostendum alla destra dello schermo è intanto iniziato il conto alla rovescia. Sul video i quattro gongolano soddisfatti cercando di non sbottare a ridere. Il giovane, deciso a non dare loro ulteriore soddisfazione, ingoia gli insulti che gli stanno salendo alle labbra e chiude gli occhi, come disponendosi a un tranquillo riposino. Non li riapre nemmeno quando un rumore metallico gli segnala che il portellone della camera di lancio dell'ovulum si sta aprendo davanti a lui. Né, pochi istanti più tardi, quando si sente proiettato in avanti a una velocità spaventosa che gli fa provare un improvviso afflato di fratellanza verso le sogliole e qualsiasi altra creatura appiattita dell'universo.
- Buon viaggio, collega - lo saluta festosamente Kevin mentre gli altri si abbandonano a una risata liberatoria.
- Non ti può sentire - lo informa l'animatore. - A quella velocità il sub-spatium ribolle intorno alla navicella in modo assordante.
- Ma... siamo sicurrri che non corrre nessun perrricolo, verrro? - domanda Ud'Naarrr assalito da un tardivo senso di colpa.
- Nessun problema - sorride l'uomo. - Come vi ho già detto, è uno scherzo che facciamo praticamente a ogni crociera ai tipi più musoni. Quando li recuperiamo, di solito, hanno una gran voglia di far festa e divertirsi!
- Speriamo - commenta Shiroh con una smorfia poco convinta. - Serge è un ragazzo socievole, a modo suo, ma se gli si toccano le corde sbagliate è capace di non perdonartela neanche nella bara!
- Quanto ci vorrrrrrà perrr rrriporrrtarrrlo a borrrdo?
- Una mezz'oretta. L'ho sparato dritto davanti a noi e l'ovulum dovrebbe perdere la sua spinta a 6, 7 s-s milia da qui... trenta minuti di navigazione, appunto.
- Ma non può girarsi e venirci incontro, una volta fermo?
- No. La navicella non ha un motore. Per recuperarla useremo dei cavi a strascico con piastre calamitate...

Serge non ha seguito quella conversazione. Anche quando il ribollire del sub-spatium intorno all'ovulum è prima diminuito e poi cessato, ha preferito evitare ogni ulteriore scambio verbale con i quattro disattivando ogni comunicazione con la nave da crociera.
Ha slacciato le cinture di sicurezza e si è alzato in piedi. Da quella posizione, attraverso la calotta perfettamente trasparente, può vedere in lontananza la massiccia sagoma dell'Itinerus III che si avvicina. Ci metterà un po', per arrivare alla sua altezza. Nella melassa verdognola di quella dimensione le navi, specialmente se di quella stazza, si muovono abbastanza lentamente. L'apparente difetto è naturalmente compensato dal fatto che nel sub-spatium le distanze sono infinitamente minori che nello spazio normale.
Resta qualche minuto a fissare il mezzo da crociera, rimuginando dentro di sé le ritorsioni da attuare una volta tornato a bordo. Intanto si riprenderà i suoi diritti! Sissignore. Trascorrerà il resto del viaggio, e anche tutta la permanenza su Paradisius, chiuso in cabina o in camera a leggere e farsi i fatti suoi! Che si provino, a tornare a chiedergli di andare con loro a "divertirsi", quei cretini!
Quando, sazio dei propri piani di rivalsa, sta per tornare a sedersi e riprendere la lettura del libro in attesa di essere raggiunto e recuperato, l'Itinerus III cambia improvvisamente colore davanti ai suoi occhi: il bianco e il verde delle fiancate si mutano di colpo in un vivido rosso. Il sub-spatier sembra prima farsi traslucido e poi espandersi. Un attimo più tardi Serge lo vede accendersi di giallo e bianco e deflagrare come un osceno, accecante fiore di morte.







1



- Laggiù soffiaaa!
Il grido, dalla torretta trasparente della Maxima, si riverbera attraverso l'intersonus giù giù nella camera di manovra, nella sala motori, nella mensa, nelle cuccette e perfino nei bagni.
La grandezza e la forma dei grandi esseri traslucidi appena avvistati che ricordano quelle degli antichi cetacei terrestri, hanno spinto i cacciatori delle strane creature ad adottare il gergo dei balenieri dell'Ottocento anche se le caratteristiche del sub-spatium in realtà hanno trasformato i navigatori spaziali più in sommergibilisti che in marinai di superficie.
D'altronde, anche il fatto che i raffinati sistemi di ricerca sotto-spaziosonica si siano rivelati del tutto inutili per individuare i branchi dei giganti biancastri, costringendo i cacciatori a usare gli occhi come i loro predecessori terrestri per individuarli nella sostanza verdognola di quella dimensione, ha contribuito a far recuperare metodi e modi di dire che per un paio di secoli erano sopravvissuti solo sulle pagine dei romanzi.
L'avvistamento scatena l'abituale frenesia a bordo della mastodontica navis-fabrika. Mentre piloti e tecnici raggiungono le proprie postazioni nella camera di manovra e gli operai che di lì a poco dovranno sezionare e lavorare la preda cominciano a dar tensione ai macchinari, i dodici uomini che compongono l'equipaggio delle quattro motobalænier si affrettano verso le camere di lancio con indosso le tute e i piccoli apparecchi di bio-rigenerazione dell'aria che consentiranno loro di respirare per qualche ora nel sub-spatium,.
Anche le motobaleniere, in realtà, non hanno praticamente niente in comune con le robuste e duttili imbarcazioni dei cacciatori di balene del 1800. Somigliano di più a una via di mezzo tra i "maiali" usati dagli incursori sottomarini durante la seconda Guerra Mondiale terrestre e gli scooter acquatici di moda durante le vacanze estive sul finire del XX secolo.
La Maxima, intanto, ha virato leggermente a dritta per portarsi in rotta di collisione con l'ultima "balena" del gruppo. Anche se finora le silenziose creature non hanno mai dato segno di possedere alcuna forma di vista o di udito, considerate le loro dimensioni e la conseguente pericolosità di un eventuale attacco da parte di tutto il branco, i cacciatori hanno preso l'abitudine di attaccare sempre l'individuo in coda, in modo da ridurre al minimo i rischi di una reazione da parte delle compagne.
Le mermoiæ, così battezzate dal nome del loro scopritore, Mer/M/Ooy, un operaio mo/too/ita di un sub-spatier da trasporto, sono la sola forma di vita finora registrata nel sotto-spazio. Generalmente più grandi dei vari mezzi spaziali esistenti, con l'eccezione delle gigantesche navis-fabrikæ che danno loro la caccia, le mermoiæ si muovono in branco, lentamente, senza movimenti apparenti, come spinte da una forza arcana. La maggior parte della loro massa è costituita da una specie di corazza molliccia attraversata da pochissime innervazioni che sembra avere solo lo scopo di proteggere dalla pressione del sub-spatium il vero essere vivente, una specie di guscio nerastro poco più grande di un pallone da rugby situato al centro della metà anteriore della creatura, che la materia traslucida lascia appena intravedere.
Finora non è stato possibile scoprire molto di più sulla loro natura. Infatti, trasportata fuori dalla sua dimensione, la corazza delle mermoiæ diventa durissima, inattaccabile da qualsiasi metallo, esplosivo o agente chimico. Un materiale del genere, di fatto indistruttibile, risulta ovviamente molto prezioso per tutta una serie di impieghi industriali e militari e, visto che è lavorabile solo nel sub-spatium, per ottenerlo sono state concepite e realizzate le navis-fabrikæ, gli enormi mezzi spaziali che, come le antiche navi baleniere, consentono di svolgere a bordo, e dunque in quella dimensione, l'intero ciclo, dall'uccisione dell'animale alla sua macellazione, alla lavorazione della "corazza", fino all'uscita del prodotto finito.
Anche i pochi scienziati accettati a bordo dei giganteschi mezzi sotto-spaziali hanno potuto scoprire poco di più sulle ineffabili creature, dato che i balenieri, per ammazzarle, infilano nella corazza traslucida un ago-fucile al plasma col quale "friggono" il nucleo centrale, lasciando ben poco da analizzare agli studiosi.
La Maxima, mantenendo la barra dritta sulla nuova rotta, risale in quota di qualche centinaio di lacertes. Si tratta di una manovra abituale per evitare di subire le conseguenze della eventuale furia della mermoian colpita. Anche se la corazza dell'animale è infatti del tutto priva di sensibilità e i balenieri possono piantarci i loro ramponi senza che la creatura se ne renda neppure conto, non è facile evitare che l'asta metallica tocchi una delle innervazioni presenti nella massa traslucida, e in quel caso la mermoian, seguendo un istinto di cui sfugge la logica, reagisce puntualmente spingendosi verso il fondo del lektus di sub-spatium in cui si trova, mentre il suo corpo viene scosso da una serie di contrazioni spasmodiche.
Giunta a una distanza di 4 s-s milia dal punto di convergenza della sua rotta con quella della "balena", la navis-fabrika rallenta e spegne i motori, mentre dai portelli di caccia fuoriescono le motobaleniere. Mosse da un silenzioso motore elettrico capace di imprimere loro una spinta massima di 15 s-s nodi, i quattro veicoli sotto-spaziali puntano dritto sul loro obiettivo, raggiungendolo nel giro di una decina di minuti. I guidatori delle tre motobalænier che portano i ramponieri, muovendo sapientemente il manubrio dei loro mezzi, si portano in coda all'animale, appena sopra di esso, seguiti a qualche distanza dalla quarta motobarca che trasporta invece gli addetti all'ago-fucile al plasma, ai quali spetta la parte finale dell'operazione. A quel punto, come obbedendo a un silenzioso comando, gli uomini seduti al centro delle prime tre motoimbarcazioni si alzano in piedi all'unisono e, brandendo il loro strumento, in tutto simile a quello in uso nei secoli passati, appoggiano il ginocchio sinistro nell'apposita staffa ricavata nella "sella" dove sono stati seduti finora.
- Dateci 150 lacertes d'imbando - latra il capo-baleniere nell'interko-munikator delle tute, rivolto agli addetti alla manovra delle sagole seduti sul retro dei mezzi. Le funi, un capo delle quali è legato al rispettivo rampone, sono addugliate in un apposito contenitore semisferico sul fianco della motobarca. Da lì, per un foro rivestito in materiale atermico che riduca gli effetti di surriscaldamento dovuti allo sfregamento durante il passaggio veloce della corda, raggiunge prima una bitta sul fondo del mezzo e poi un passacavi a prua. Un comando su una delle selle posteriori consente al responsabile di mollare, tendere, rilasciare o riavvolgere la corda secondo necessità.
Le tre motobaleniere, disposte a semicerchio dietro la loro preda, stanno avanzando silenziose, in attesa del comando del capo-baleniere per lanciare i ramponi, quando dal quarto mezzo alle loro spalle giunge un inarticolato grido di sorpresa. Prima che gli occupanti dei tre veicoli più avanzati possano abbozzare una qualsiasi reazione, un ampio telo di colore giallo vivo si frappone tra le loro imbarcazioni e la schiena della mermoian. Sul drappo, a grandi caratteri neri, nella lingua ormai universalmente adottata dei kogitan, c'è scritto: "Quinto: non uccidere". In calce, in un verde brillante, il marchio e la firma di Viridis Spatium, l'erede sotto-spaziale di Green Peace, un'associazione ambientalista terrestre che ha vissuto una stagione di gloria a cavallo tra il XX e il XXI secolo. Il panno è trasportato da due veloci motobarkæ dipinte negli stessi colori. A bordo di ciascuna si trovano un paio di tizi in tuta verde. Si tratta di un thaelese, un terrestre, un viszurrriano e un d-loock. Quelli non occupati col timone di bordo, tengono una mano sollevata, col dito medio alzato e puntato verso i balenieri. Tutti e quattro sghignazzano allegramente, e anche se le loro voci non giungono ai cacciatori di mermoiæ, quello che stanno dicendo è facilmente immaginabile.
- Maledetti eco-cazzoni - abbaia il capo baleniere. - Da dove saltano fuori?
La stessa domanda l’ha appena fatta il comandante della navis-fabrika al suo sotto-spaziosonista.
- Non lo so signore! Non possono certo essere arrivati fin qui a bordo di quelle tinozze! Ci dev'essere un sub-spatier d'appoggio nelle vicinanze... ma il SoNav non mi segnala niente!
- Quei bastardi devono avere qualche programma di mascheramento! - sibila il capitano premendo un tasto dell'intersonus che lo mette in contatto con la vedetta, confinata come d'abitudine sulla torretta fino al termine della caccia.
- Guardati intorno! - gli urla. - Da qualche parte deve esserci un maledetto sub-spatier ambientalista!
- Stavo per chiamarla io, capitano! Ce l'ho sopra la testa. È sbucato un istante fa da dietro la nave. Doveva essere in un punto morto, dove non potevo vederlo... e chissà da quanto tempo se ne stava lì!

Il sub-spatier che sta navigando sopra la navis-fabrika è grande un decimo di quest'ultima e quattro volte più veloce. Sul dorso e sui lati ha delle specie di pinne terminanti ad ala di pipistrello di gusto vagamente liberty che lo fanno assomigliare al Nautilus dei romanzi di Jules Verne come appariva in certe illustrazioni di inizio Novecento. È completamente nero, con la scritta "Seattle" e un beffardo teschio dipinto sulle fiancate a somiglianza del "jolly roger" dei pirati settecenteschi. A differenza di quello, però, al posto delle due ossa incrociate questo ha un braccio scheletrico col pugno chiuso levato.
Come un grosso uccello malaugurante, in un ribollire di schiuma verdastra l'inquietante mezzo sotto-spaziale sfila davanti alla nave baleniera e agli occhi stretti a fessura del comandante della Maxima.
- Figli di puttana! - sibila l'uomo mentre attraverso il finestrone frontale dell'ampia camera di manovra lo guarda scivolare via velocemente davanti al suo naso, diretto verso la mermoian e le motobalænier. - Ma aspettate a ridere!
Con una smorfia di rabbiosa soddisfazione, l'uomo preme un altro tasto dell'intersonus.

Appena le quattro motobalænier erano uscite dalle camere di lancio poste nella parte inferiore della navis-fabrika, un silenzioso modulo di abbordaggio si era staccato dal nero sub-spatier nascosto dietro la mastodontica nave baleniera. Protetto anche lui da un programma di mascheramento, era andato a infilarsi in uno dei condotti appena liberatisi e destinati a rimanere aperti fino al rientro delle motobarche. A bordo dell’agile mezzo ci sono due individui: un terrestre alto, snello, con una gran barba color del rame e una criniera leonina parzialmente trattenuta da una fascia nera legata intorno alla testa, e un asimyano dagli occhi spiritati e una selva di peli carnosi bluastri sotto il grande naso ad anelli che sostiene un okulusvideo di penultima generazione.
Jeampot, il terrestre, guida con sicurezza la navicella e, giunto a poche lacertes dal fondo del condotto, spegne il motore e fa fuoriuscire quattro rampini calamitati che ancorano il veicolo alla parete.
- Forza, manda fuori il modulus di connessione - lo incalza il suo compagno dalla pelle azzurrina chinandosi su un biocomputer che sembra aver conosciuto tempi migliori e che con tutta evidenza è stato installato nell'abitacolo con attacchi d'emergenza.
- Agli ordini, mio signore - buffoneggia l'altro premendo una serie di tasti. Da un fianco della navicella esce una specie di ragno metallico che, tirandosi dietro un cavo flessibile di krotacciaium e un cavetto schermato per interfaccia IGSS, sospinto da un getto d'aria oscilla nella foschia verdognola del sub-spatium che riempie la camera di lancio dirigendosi con decisione verso una presa sulla parete di fondo. La raggiunge, ne apre il portelletto con le zampette meccaniche e ci infila un ago connettore.
- È tutto tuo - sogghigna il canadese.
Tassra, l'asimyano, sta già picchiando freneticamente sui tasti del bio-computer, inviando il suo programma di infiltrazione dalla presa periferica su su verso il sistema centrale della nave baleniera. Anche se il suo processore non è nuovissimo né elegante, il piccolo hacker dalla pelle azzurrina sa quel che fa: per la sua intrusione ha preparato un incursore digitale composto di due parti: esternamente c'è un programma di esplorazione "travestito" da antivirus (il modello base che viene fornito dai produttori praticamente su tutti i computer venduti nell'universo), mentre all'interno si trovano un nucleo di mini programmi truccati da innocui documenti da depositare qua e là nella vasta memoria della navis-fabrika.
L'incursore digitale supera senza problemi i primi livelli di controllo. D'altronde Tassra non si attende di incontrare grossi sbarramenti. Per evitare il rischio di una panne informatica nel bel mezzo di un lektus di sotto-spazio per lo scherzo di qualche hacker, le grandi baleniere e la maggior parte degli altri sub-spatier hanno abitualmente tre sistemi autonomi di comunicazione con l'esterno, l'ultimo dei quali, in caso di infezione da virus degli altri due, si autosigilla e funziona solo in uscita. Quanto al sistema che controlla il funzionamento di tutta la nave, di solito è indipendente dai canali di comunicazione, e dunque solo salendo a bordo è possibile infiltrarvisi. I circuiti di controllo sono perciò pochi e di tipo tradizionale. Niente a che vedere con le trappole mortali dotate di programmi di identificazione e blocco del computer invasore che l'asimyano è abituato ad affrontare sulle reti dell'esercito o nei sistemi delle grandi Multiplanetarie. L'unico, imprevisto ostacolo che gli si para davanti è uno sbarramento "a blocco-e-verifica": il programma arresta il pacchetto dati in arrivo e invia un file al sistema centrale per chiedere conferma della correttezza di quel passaggio. Un giochetto abbastanza sofisticato e inusuale su imbarcazioni del genere, ma Tassra non si fa trovare impreparato: il suo programma partorisce un file "fantasma" che scivola oltre il posto di blocco come un foglio di acetato sotto una porta. Superato l'ostacolo, il sub-programma si scinde in due parti: la prima torna indietro a comunicare allo sbarramento a valle che il passaggio dei dati è autorizzato; l'altra va a costruire più a monte una "copia" del posto di blocco per ricevere il vero file di ritorno con la risposta, mentre il falso antivirus riprende il suo cammino spandendosi nel flusso di dati del sistema, libero di depositare qua e là i suoi regalini.
Con un sorrisetto soddisfatto, l'asimyano si scollega.
- Fatto? - lo interroga Jeampot.
- Possiamo andarcene - conferma l'altro. - Quando le uova che gli ho depositato tra un file e l'altro cominceranno a dischiudersi e a rilasciare tutti i piccoli virus che ho coltivato per loro, a bordo avranno più di un problemino!
Prima che Tassra abbia finito di parlare, il canadese ha già battuto i comandi per il rientro del modulus di connessione e fatto rientrare i rampini. La navicella, di nuovo libera, fluttua per qualche istante nel liquido che, per le onde create dal movimento delle navi nel sub-spatium, colpisce il fondo del condotto e rimbalza indietro. Il terrestre accende i motori e guida con abilità il mezzo fuori dal cunicolo. Restando sotto la pancia della grande baleniera, dirige il modulo di abbordaggio verso la prua della nave per ricongiungersi con il nero sub-spatier che l'ha partorito, ma prima che la navicella esca dall'ombra della navis-fabrika la pancia di questa si apre e ne piove fuori la robusta sagoma di un veicolo sotto-spaziale da combattimento. La sigla CNM-1 sulla fiancata lo qualifica come un mezzo dell'esercito privato della compagnia di navigazione.
- Merda! - brontola Jeampot seguendo la scena sul piccolo schermo della console collegato alla telecamera piazzata sul retro del modulo d'abbordaggio. - Gli ammazzabalene si sono portati i cani da guardia!
- Io avverto Kish! - dice l'asimyano mettendosi a picchiare furiosamente sui tasti del computer. - Tu vedi di far correre questa carretta come non hai mai fatto!
Le motobarkæ gialloverdi, intanto, hanno completato il loro lavoro. L'ampio telo, che sul rovescio è dotato di due larghe strisce adesive, è stato attaccato sulla "schiena" della mermoian. È di un materiale sintetico usato per i giubbotti antiproiettile che anche i ramponi dei balenieri faticheranno a bucare. Naturalmente, questo non impedirà agli uomini della Maxima di dare la caccia a un'altra "balena", ma questo genere di operazioni sono sempre puramente dimostrative, e a questo scopo i due occupanti dei veicoli non impegnati nella guida stanno filmando tutta la scena.
Raggiunte dal Seattle, che ha ridotto la velocità per consentire il loro rientro, le due motobarche si stanno portando sui fianchi del sub-spatier per effettuare le manovre di aggancio quando l'allarme lanciato da Tassra raggiunge la camera di manovra.
Il comandante del nero veicolo, in piedi davanti agli schermi, soffoca un'imprecazione.
- Dì a Jeampot di girare intorno al muso della navis-fabrika. Quel bestione ci farà da scudo per il tempo necessario a raccoglierli. Poi avverti quelli delle motobarkæ di sbrigarsi a salire a bordo. Anzi, di farlo a razzo - dice piegandosi leggermente verso l'addetto all'extrakomunika-tor, un tozzo d-loock di nome E-Meckei con un occhio di vetro e i denti marci per l'abuso di driopanina. - Appena sono dentro, sgancia le loro bagnarole. Ci rallenterebbero troppo - ordina invece al secondo pilota Drrr'olz, un viszurrriano molto più grasso della media e completamente glabro che, per mettere in mostra i tatuaggi vhann che gli coprono la schiena e il cranio, indossa abitualmente solo un paio di pantaloni rossi stretti in vita da una fascia di Crilon e scarpe nere di panno. - Intanto fai inversione e andiamo a prendere Jeampot e il suo amico.
- Inverrrsione? Ma... Kish! - obietta il ciccione sbattendo il suo apparato multioculare. - Perrrché perrrderrre tempo se...?
- Fai quello che ti ho detto, cazzo! Il tempo lo perdiamo se vi mettete a discutere ogni mia decisione!
Chinando la testa sui comandi, mentre le sue pictografie fluorescenti virano tutte violentemente al rosso imbarazzo, il viszurrriano si affretta a iniziare la manovra di inversione, e pochi istanti più tardi, quando un ostendum sul pannello gli segnala la chiusura delle camere stagne usate dai quattro ambientalisti per rientrare nel sub-spatier, si affretta a sganciare le loro motobarkæ che prendono a fluttuare verso il basso e in direzione opposta, spinte dalla blanda corrente del lektus e dalle onde create dal movimento del Seattle.
- Che succede? - domanda l'ambientalista terrestre entrando a passo di carica nella camera di manovra seguito dagli altri tre. - Abbiamo sentito il rumore di sganciamento delle nostre barkæ e...
- Siamo nella merda fin qui - li azzittisce il comandante Kish portando la mano in posizione orizzontale sotto il naso - perciò sedetevi in quell'angolo senza fiatare finché non ve lo dico io!
- E non fate l'onda - ridacchia il d-loock riciclando la stantia battuta terrestre che ha retto al passare dei secoli e incontrato maggiore o minore fortuna anche su tutti gli altri pianeti.

Lo scopo della manovra del Seattle risulta chiaro a Tagida Mbuzi, il comandante del sub-spatier da combattimento al servizio dei balenieri, un nero massiccio dai capelli platinati raccolti in un'unica treccia sulla spalla, fasciato in una tuta attillata blu e oro.
- Vogliono usare la baleniera come schermo per sottrarsi ai nostri colpi mentre recuperano il loro modulo d'abbordaggio - osserva con un furbo sorrisetto di sufficienza.
- Mi domando cosa ci facesse quella navicella sotto la Maxima - si interroga invece Greg Everett, il suo vice, più pensieroso.
- Che importanza può avere, visto che fra pochi minuti avremo fatto a pezzi gli uni e gli altri? Possono giocare a rimpiattino quanto vogliono! Siamo veloci almeno quanto loro, e prima o poi dovranno pur andare da qualche parte. A quel punto li avremo a tiro dei nostri siluri e... bumm!
L'agile scafo dell'esercito privato della compagnia baleniera gira a sua volta intorno al muso dell'immobile navis-fabrika virando a dritta per seguire la sua preda che intanto, al riparo della mastodontica imbarcazione, sta recuperando il modulo di abbordaggio.

- Il pulcino è rrrientrrrato nel nido - dice il secondo pilota del Seattle, mentre la tensione accende di toni elettrici i suoi tatuaggi luminescenti.
- Bene. Timone di prora a scendere! Timoni poppieri a meno diciotto! Macchine avanti tutta! - ordina seccamente Kish.
Scivolando diagonalmente sotto la baleniera, il Seattle punta verso il fondo del vastissimo lektus, tenendosi più o meno parallelo al fianco di questo. Sollecitato al limite della sua resistenza, lo scafo geme sinistramente. Scricchiolii e colpi secchi scaturiscono da ogni parte della struttura. Nella camera di manovra è sceso un silenzio carico di tensione. Le pictografie di Drrr'olz brillano a intermittenza passando dal bianco ghiaccio al grigio lapide. Gli occhi di tutti sono fissi sull'ostendum dell'indicatore di profondità: meno 60... meno 40... meno 25...
Il sub-spatier da combattimento della compagnia baleniera si è prontamente accodato al suo bersaglio, perdendo inizialmente terreno perché il comandante Mbuzi ha preferito non sottoporre la sua nave a sollecitazioni eccessive. Non ne ha bisogno. Il suo mezzo è sicuramente più veloce dell'altro. Riprenderà quei bastardi in un secondo momento, una volta terminata la discesa.
Giunto a quota meno15 dal fondo, il Seattle raddrizza il muso e inizia ad avanzare parallelo alla apparentemente inconsistente ma solidissima parete che scorre veloce a poche centinaia di lacertes a dritta. Il sub-spatier inseguitore giunge alla stessa quota solo pochi minuti più tardi. Stabilizzata la rotta, il nero Tagida comanda il "macchine avanti tutta". Una smorfia soddisfatta tradisce la sua eccitazione: tra poco quei cialtroni anarcoidi saranno a tiro! Non gli lascerà neppure il tempo di pentirsi per essersi messi una volta di troppo sulla strada della compagnia baleniera!
- Cosa stanno cercando di fare? - si domanda Everett. - Là in basso c'è l'ingresso di un canalis interlekti. Che vogliano filarsela da lì?
- Non andrebbero ugualmente lontano - sogghigna Mbuzi. - Li riprenderemmo dall'altra parte... e comunque l'hanno appena superato.
Il Seattle, infatti, è scivolato veloce accanto all'ingresso del canale di connessione tra diversi letti del sub-spatium, una specie di luccicante increspatura circolare di colore verde-biancastro nella parete del lektus. Infilarsi nel varco sembra l'ultimo dei pensieri dei fuggiaschi.
- Metti la prua 45 gradi a sinistra - sta ordinando Kish. - Timone di prora a salire! Timoni poppieri a più sette!
Lo scafo cambia di nuovo bruscamente direzione, gemendo in modo quasi doloroso. Tra un ordine e l'altro del comandante, nella camera di manovra nessuno apre bocca. La tensione si taglia a fette. Tutti conoscono bene i metodi degli eserciti privati delle grandi imprese multiplanetarie: in assenza di testimoni, i mercenari non esitano a uccidere tutti quelli che, in qualche modo, infastidiscono i loro padroni.
- Stanno salendo con un angolo di 25 gradi su una rotta di 7-7-2 - segnala l'addetto agli ostendum sulla nave dell'esercito privato.
- Tentano una manovra diversiva? - ipotizza il giovane Greg.
- Sono andati in bambola! - esulta il comandante del CNM-1 gonfian-do il petto. Si gira leggermente verso l'addetto alle macchine e impartisce pochi, precisi, freddi ordini: - Saliamo anche noi: macchine a forza sei. Timoni poppieri a più quattro su una rotta d'intercettazione 6-3-3.
Poi, dopo una pausa ad effetto, scandisce: - Aprire tubi di lancio 1 e 2.
Due pulsanti vengono premuti quasi contemporaneamente.
- Tubi di lancio 1 e 2 aperti.
La strana sostanza del sub-spatium fluisce nelle due camere dei siluri poste a prua. Nel comparto di manovra del mezzo dei mercenari l'attesa del lancio sta suscitando in tutti i presenti una eccitazione ferina.
Nel silenzio assoluto Tagida Mbuzi, senza perdere di vista gli ostendum coi parametri di mira, si avvicina alla console dei comandi di fuoco e pone le mani sulle due leve di lancio. I secondi che passano sembrano dilatarsi all'infinito.
Nell'esatto istante in cui tutti i parametri collimano, con un movimento deciso del polso sinistro il comandante aziona la prima leva. Un profondo respiro, e abbassa anche la seconda. Mentre, spinti da un potente getto d'aria, i due siluri escono uno dopo l'altro dai rispettivi tubi in un ribollire di schiuma, le labbra del nero si inarcano in un accenno di sorriso.
Che, solo un attimo più tardi, le immagini rimandate dagli schermi della consolle tramutano prima in un moto di sorpresa, poi in incredulità, e infine in un sentimento di frustrazione misto a sorda rabbia.

Kish aveva mantenuto senza tentennamenti il Seattle su quella che appariva come una rotta suicida. In silenzio, i nervi tesi allo spasimo, aveva osservato sugli schermi le manovre del mezzo avversario, in attesa del momento in cui dai tubi di lancio di quello sarebbero spuntate le mortali sagome dei siluri. Sapeva di correre un grosso rischio, anche se calcolato. Aveva un asso nella manica di cui i fottuti mercenari non sospettavano nemmeno l'esistenza, almeno a giudicare da come avevano abboccato all'amo sapientemente teso. Tutto si sarebbe giocato nel giro di pochi secondi. I suoi uomini conoscevano a memoria le istruzioni per la manovra, ma per sicurezza gliele aveva appena fatte ripetere ad alta voce. Adesso tutto dipendeva dalla scelta dell'attimo esatto. E dalla speranza che tutte le parti del suo scassato sub-spatier reggessero a quell'ennesimo sforzo.
Quando la testata del primo siluro aveva occhieggiato in cima al tubo di lancio, aveva gridato: - Ora!
Immediatamente il d-loock, attivando un apposito comando, aveva fatto rientrare all'interno dello scafo il timone e i caratteristici alettoni di poppa, mentre a prua ne erano usciti di identici e contrari. Nello stesso istante Drrr'olz aveva bloccato i motori che avevano spinto fin lì il Seattle e pigiato un grosso tasto nero. Da quella che sino a quel momento era stata la parte anteriore del veicolo, era uscito un potentissimo getto d'aria compressa che aveva bloccato quasi istantaneamente la corsa del mezzo sotto-spaziale. Intanto Kish aveva attivato un motore gemello e opposto all'altro che, mettendo di nuovo a dura prova la struttura del sub-spatier, lo aveva fatto ripartire sulla stessa rotta fin lì seguita, ma a ritroso.
Esterrefatti, i mercenari avevano visto i loro siluri mancare di poco il bersaglio. Poi il Seattle, con velocità sempre maggiore, era scivolato loro di fianco per tuffarsi di nuovo verso il basso, puntando dritto sull'apertura del canalis interlekti.

- Ora sai perché prima ho voluto fare l'inversione, anche se ci faceva perdere tempo - sta dicendo con aria di rivalsa Kish al grasso viszurrriano. - Se avessimo usato subito questo trucchetto come pretendevi tu, non ce l'avrebbero fatto ripetere la seconda volta... quando ci serviva per salvarci il culo!
- Perrr questo tu sei il capitano e io solo il secondo pilota - riconosce Drrr'olz con i tatuaggi che brillano di un verde umiltà. - Non oserrrò mai più metterrre in discussione i tuoi orrrdini!
- Sì... fino alla prossima volta - chiosa con una smorfia rassegnata il comandante lasciandosi cadere sulla sua poltrona. Poi, parlando nell'intersonus per far arrivare l'ordine in ogni angolo del sub-spatier: - Allacciatevi le cinture o tenetevi forte, ragazzi. Stiamo per entrare nel tritatutto!
- Come ti è venuto in mente di farti costruire una nave bi-direzionale? - domanda l'ambientalista terrestre che, come tutti gli ospiti del Seattle, è rimasto sbalordito per l'audacia e l'originalità di quel piano di fuga.
- Paradossalmente, è un'idea rubata alle baleniere americane dell'Ottocento - sorride Kish. - Dopo il lancio dei ramponi, spesso, le barche dovevano allontanarsi in fretta per evitare la furia del capodoglio ferito, così qualche bella testa pensò di affilare le barche sia a prua che a poppa, in modo da poter cambiare il senso di marcia semplicemente remando in direzione opposta, senza dover girare l'imbarcazione.
Jeampot, sogghignando, aggiunge un commento che nessuno ode. Con un fragore di cascata il Seattle è entrato nel canale di connessione tra letti del sub-spatium. Un attimo prima sono stati spenti tutti gli schermi, per evitare che rimangano danneggiati dall'incongruente fenomeno dell'accecante buio assoluto del canalis interlekti, una delle inspiegabili caratteristiche del sotto-spazio.
L'attraversamento dei varchi è rapido, ma tutt'altro che tranquillo: i sub-spatier devono far fronte a una serie di scosse, come se si trovassero nell'epicentro di una decina di terremoti contemporaneamente, mentre una forza misteriosa preme da ogni lato gli occupanti del mezzo quasi fino a far uscire loro dalla bocca tutti gli organi interni. Per fortuna il tragitto, se di tragitto si può parlare in una dimensione che non risponde a nessuna legge conosciuta della fisica, è sempre molto breve. E, dopo il rombo assordante dell'attraversamento, il ritorno del silenzio è così improvviso che lascia più storditi del boato di un'esplosione.
Kish, che nonostante la giovane età ha già fatto quell'esperienza un numero infinito di volte, supera la prova senza problemi e, appena fuori dal canalis interlekti, grida al suo secondo pilota di infilarsi nel secondo varco a dritta.
Drrr'olz, altrettanto esperto, sa che all’uscita dal lektus di sotto-spazio le piccole orecchie a bottone gli ronzano come un alveare, così, dopo essersi affrettato a riattivare gli schermi, si gira come d'abitudine a leggere l'ordine sulle labbra del comandante. E lo esegue prontamente.
- Pensate che ci verranno dietro? - domanda il thaelese appena riacquistato l’udito.
- Non credo. Perderebbero il loro tempo - gli risponde Kish. - E lo sanno. Quando avranno finito di invertire la rotta, noi saremo già dentro uno qualsiasi degli almeno cinque varchi abbastanza vicini da permetterci di sparire prima del loro arrivo in questo lektus. Comunque, anche nell'eventualità che decidessero di fare la conta e azzeccassero il canalis giusto, arriverebbero in un nuovo letto di sotto-spazio, fuori da tutte le rotte utili, e dovrebbero indovinare in quale degli otto nuovi varchi a portata di mano ci saremo infilati.
- Hai studiato una via di fuga a prova di bomba, non c'è che dire!
- È opera di Drrr'olz e Tassra.
L'asimyano accetta il riconoscimento chinando leggermente la testa. Le pictografie del viszurrriano si accendono di un gongolante blu gloria.
- Ehi! Se non ho capito male - interviene l'ambientalista dalla criniera leonina - dobbiamo farci strizzare almeno altre due volte in quegli accidenti di canali! Non credo di riuscire a sopportarlo! È un miracolo se finora non ho vomitato l'anima!
- In quello sportello ci sono dei sacchetti di plastica - taglia corto Kish indicando un armadietto. - Meglio un po' di vomito che i siluri di quei bastardi.

All'uscita del terzo varco, il terrestre non è il solo a vomitare. Tre dei cinque ospiti del Seattle, meno abituati dell'equipaggio allo scombussolamento dei canali interlekti, riempiono i ristretti spazi della camera di manovra col rumore dei loro conati e il disgustoso odore che fuoriesce dai sacchetti, eliminato solo parzialmente dall'impianto di bio-rigenerazione dell'aria.
Tutto questo non sembra disturbare Kish che, al contrario, ha finalmente il viso rilassato e si aggira per i locali del sub-spatier scherzando coi compagni e sorridendo allegramente alle loro battute. La sua soddisfazione è più che motivata. Ha svolto bene il suo lavoro di comandante. Ormai sono al sicuro. Li attende un viaggio di ventiquattr’ore senza storia in quel tratto di lektus fuori da tutte le rotte utili, poi il Seattle si infilerà in un ultimo canale per riprendere la rotta ufficiale, abbandonata qualche ora prima per l'incursione ai danni dei cacciatori di mermoiæ.
Contrariamente alle previsioni, però, solo tre ore più tardi qualcosa viene a movimentare ancora il viaggio del sub-spatier costringendo Tassra ad attraversare il comparto delle cuccette dove riposano i cinque ambientalisti e una buona metà dell'equipaggio per raggiungere quella che, con notevole esagerazione, viene chiamata "la cabina del comandante".
- Kish - mormora dopo aver scostato la pesante tenda nera che separa lo stretto bugigattolo dal resto del dormitorio. - Kish.... abbiamo avvistato un ovulum di salvataggio alla deriva.
- Un... cosa? - biascica una voce nella semioscurità.
- Un ovulum. Sulla fiancata c'è scritto "Itinerus III/4"!






2



La prima sensazione è di arsura. Gli sembra che una colonia di piccoli animali idrovori si sia accanita sul suo corpo succhiandone ogni stilla d'acqua. Ma subito subentra il pensiero che se ha sete deve essere vivo: qualcuno l'ha raccolto.
Ci vogliono ancora molti minuti, minuti di sofferenza, perché possa aprire gli occhi e provare a muoversi.
- Resta fermo ancora un po' - gli dice con gentilezza una voce femminile mentre una mano gli si posa sulla spalla. - Dobbiamo farti una flebo per restituire calorie e forze al tuo corpo. Tra poco potrai provare ad alzarti. Tranquillo. Va tutto bene.
Qualcosa gli buca il braccio. Ancora non riesce a mettere bene a fuoco le immagini. Da una parte c'è una figura piccola e goffa, impegnata ad attaccare in alto, da qualche parte, una flebo. La voce proviene dalla parte opposta. La voce più bella che abbia mai sentito. La voce della persona che l'ha riportato alla vita. Dentro di sé sorride: non riesce a immaginarsi nella parte del Bell'Addormentato nel Sotto-Spazio che, in un'imitazione di fiaba al contrario, viene risvegliato da una flebo praticatagli dalla Principessa Azzurra.
In realtà, come vede quando gli si schiarisce la vista, nella specie di ripostiglio che ospita la brandina dove l'hanno adagiato, di azzurro c'è solo un asimyano. L'individuo, dopo aver appeso il flacone della flebo a un fascio di cavi che passa sopra le loro teste, se ne sta andando. Il colore della Principessa, invece, è decisamente il nero. Occhi neri, capelli corvini ricci fasciati da una nera bandana da pirati, e neri anche pantaloni, stivaletti Peregrinor e camicia con maniche a sbuffo, un po' aperta sul seno. Un seno decisamente interessante, pensa il giovane rendendosi conto con piacere che ormai gli si stanno risvegliando davvero tutte le parti del corpo.
- Sono Kish, il comandante del sub-spatier che ti ha raccolto - dice la giovane donna apparentemente senza notare dove si sta attardando lo sguardo di lui. - Ora ti devo lasciare solo. Ho un paio di cosette da sbrigare. Resta qui tranquillo. Tra un po' verrò a toglierti la flebo, e più tardi potrai anche mangiare qualcosa.
Con un movimento insieme deciso e morbido, la ragazza gira le spalle al naufrago e esce dallo stanzino, permettendo a Serge di apprezzare anche la rotondità del suo fondoschiena generosamente sottolineata dall'aderenza dei pantaloni in Elastocot.
Rimasto solo, il giovane trae un grosso respiro. È vivo. Ed è stato raccolto dal comandante più affascinante di tutto il sotto-spazio. Probabilmente il naso leggermente aquilino, le labbra sottili e un corpo che, per quanto dotato di curve più che adeguate, pare costruito più per l'azione che per l'esibizione, non le farebbero ottenere un punteggio molto alto in un concorso di bellezza. Ma i suoi occhi...! Grandi, pieni di stelle, profondi, schietti. E allegri.
Serge sente di essere già pazzo di lei! Poi, sorridendo di se stesso con una punta di amarezza, cerca di tornare, mentalmente, coi piedi per terra. Come al solito, si sta innamorando più del proprio innamoramento che della persona che l'ha suscitato! Forse è per questo che i suoi rapporti naufragano sempre in breve tempo: appena trova una ragazza che gli piace, comincia a costruirci sopra storie, romanzi e ogni genere di fantasticherie, al punto che la donna reale, mano a mano che la conosce meglio, finisce con l'apparirgli sempre inferiore a quella ideale che si è inventato. Risultato: senso di delusione e rapida fine del rapporto.

- Tutto bene?
Serge sussulta e apre gli occhi di colpo, udendo la voce della ragazza. Evidentemente si era appisolato. Pensa che forse gli ci vorrà più tempo di quanto immaginava per recuperare davvero le forze. Sopportando con una piccola smorfia una raffica di doloretti come punture di lunghi spilli in varie parti del corpo, si tira su un gomito e biascica: - Sì, grazie... più o meno.
Kish gli toglie l'ago dal braccio e stacca il flacone, ormai vuoto, dai cavi a cui l'aveva appeso Tassra.
- Oltre a essere il comandante, sei anche il medico di bordo?
- Il nostro sub-spatier non ha alle spalle grosse compagnie di navigazione, perciò dobbiamo cercare di risparmiare - sorride la giovane. - Prima di tutto sull'equipaggio. Ma ho fatto dei corsi regolari: “Primo Soccorso”, “Ibernazione e Rianimazione nel Sotto-Spazio” e anche “Difesa dalle Malattie Infettive Aliene”.
- Allora ti sei occupata tu delle procedure per il mio... scongelamento.
- Volevo farlo fare al cuoco, che ha più pratica di me coi surgelati, ma quando ho visto che cercava una padella della tua misura ho preferito incaricarmene io!
- Grazie. Non reggo la doratura.
- Scherzi a parte, com'è andata? Sei il primo che rianimo. Personalmente non ho avuto mai occasione di provarlo, ma mi hanno detto che l'uscita dall'ibernazione è tutt'altro che piacevole... come avere mille aghi piantati nel corpo.
- Ah, è quello! Meno male. Temevo che mi aveste infilato una colonia di istrici sotto i vestiti.
Kish ride. Lui la guarda estasiato: quando ride è ancora più bella.
Stavolta lei si accorge del suo sguardo e, sorprendendo se stessa per prima, arrossisce. Non le accadeva da almeno dieci anni. La consapevolezza di quel suo assurdo stato di soggezione la getta nella confusione più totale, mentre anche Serge, comprendendo dal rossore della giovane di aver mostrato troppo apertamente i propri sentimenti, diventa a sua volta paonazzo.
- Mi chiamo Serge Tillieux - si presenta il giovane quasi mangiando le parole, ansioso di uscire il più in fretta possibile dall'atmosfera di duplice imbarazzo che ha creato col suo stupido comportamento. - Ero in viaggio su un sub-spatier da crociera...
- L'Itinerus III, lo sappiamo. C'era il nome sull'ovulus...
- Ah, già. Certo.
- Rischi di diventare famoso, sai. A quanto pare sei l'unico superstite di quella tragedia. I notiziari ne hanno parlato per giorni, quando è successo...
Il pensiero dei suoi amici morti... come tutti gli altri occupanti della grande nave sotto-spaziale... torna a colpire Serge con la forza di un pugno allo stomaco. Il suo sguardo si vela di tristezza. Kish, istintivamente, gli appoggia una mano sulla spalla, stringendo leggermente.
Proprio in quel momento si affacciano sulla soglia della cuccetta messa a disposizione dell'imprevisto ospite l'asimyano, Jeampot e il grasso viszurrriano.
- Come sta il nostro ghiacciolo? - domanda il canadese.
- Meglio - diagnostica la ragazza ritraendo di scatto la mano.
- Quanto tempo sono rimasto ibernato? - chiede Serge.
- Sette mesi, più o meno. Oggi è l'11 october...
- Come accidenti hai fatto a salvarti... e a finire in questo lektus fuori da ogni rotta utile? - lo interroga l'ambientalista. - L'incidente è successo da tutta un'altra parte, se non ricordo male...
- Devo ringraziare i miei amici che, per scherzo, mi hanno sparato fuori dal sub-spatier pochi minuti prima che scoppiasse. A spingermi qui, invece, è stata l'onda d'urto dell'esplosione. Per fortuna, anche se non sono un navigatore esperto avevo letto abbastanza libri per sapere cosa aspettarmi, così appena l'Itinerus è saltato in aria...
- Nel sub-spatium non c'è arrria - puntualizza il viszurriano. Il giovane naufrago gli lancia un'occhiata per capire se sta scherzando o no, ma Drrr'olz non sorride.
- ...sono tornato a sedermi in tutta fretta - continua Serge - e mi sono allacciato le cinture di sicurezza. Appena in tempo. Lo spostamento d'aria...
- Nel sub-spatium non c'è arrria - ribadisce imperturbabile il secondo pilota. I suoi tatuaggi brillano fiocamente di un viola puntiglio. Il ragazzo gli lancia un'occhiataccia infastidita.
- ...lo spostamento di cosa-cavolo-c'è-nel-sub-spatium ha fatto fare le capriole alla mia navicella e l'ha spedita direttamente dentro l'apertura di un canalis interlekti...
- Quando si dice il culo! - commenta Kish con una smorfia buffa.
Jeampot sente il bisogno di esprimere la sua solidarietà al giovane: - Passare attraverso quei frullatori è poco piacevole anche tra le robuste pareti di un sub-spatier come questo... immagino cosa devi aver provato su quel guscio di noce!
- Già. Sono arrivato di qua più morto che vivo! Quando l'ovulus ha finalmente esaurito la sua spinta ho controllato la mia posizione sul programma di mappatura sotto-spaziale... e questo non mi ha fatto sentire affatto meglio!
- In effetti non erano molte le probabilità di essere raccolto da qualcuno, in questo budello deserto - conviene il comandante. - Brutta situazione.
- Beh, a dire il vero, visto che ero finito in quella navicella per dedicarmi ai miei libri in santa pace, per me poteva anche essere una situazione ideale - sorride Serge. - Avevo una decina di romanzi nel manu-lector, nessuno che mi potesse disturbare, e tutto il tempo che volevo per leggere!
- Ma tu non avevi "tutto il tempo" che volevi - lo corregge di nuovo il viszurrriano. - Quel generrre di navicella ha una rrriserrrva d'arrria sufficiente al massimo perrr un paio di giorrrni e rrrazioni alimentarrri perrr lo stesso perrriodo.
Serge gli lancia un'altra occhiata. Rassegnata.
- Infatti. Così, seguendo le istruzioni che ci avevano dato all'inizio della crociera, ho abbassato lo schienale della poltrona, mi sono sdraiato e ho attivato la procedura di ibernazione... sperando di essere soccorso, prima o poi, da qualche sub-spatier di passaggio.
- Che, per tua fortuna, è arrivato abbastanza presto - sorride Kish. - Ora però è meglio se ti riposi ancora un po'. Verrò a chiamarti all'ora del rancio, se non ti svegli prima da solo.
La ragazza esce spingendo fuori gli altri tre. Serge, lentamente, torna ad adagiarsi sulla brandina. Gli aghi che sente in corpo, anche se non sono più piantati in profondità come prima, continuano a bucare. Prova a chiudere gli occhi, ma si rende conto ben presto di non avere più sonno. Si gira su un fianco e nota che, appoggiato su uno sgabello metallico, c'è il suo monospalla. Sopportando nuove trafitture allunga una mano e lo prende. Dentro c'è ancora il manu-lector, avvolto nella custodia termica. Quando ha comprato lo zainetto gliel'hanno assicurata a prova di temperature plutoniane. Ora saprà se si è trattato di una delle solite esagerazioni da commerciante. Estrae il palmare e preme il tasto apertum. Con sua grande sorpresa, si accende. È buffo pensare che sono trascorsi sette mesi da quando ha iniziato a leggere quel libro, mentre per lui è come se fossero passate solo poche ore.

1. La baracca del pescatore
Poche ore prima che il giovane Junio Bandini scendesse dal treno alla stazione della tranquilla località turistica, il colonnello Despotti si era recato come d'abitudine alla miserabile dimora di Du' Denti. Il vecchio pescatore era un po' matto, ma a chi gli stava simpatico faceva pagare il pesce molto meno dei suoi colleghi. E l'anziano ufficiale in pensione riscuoteva la sua simpatia. Forse perché, con le rigidità caratteriali tipiche della sua professione, aveva molto in comune con le fissazioni dell'altro.
Despotti aveva conservato dalla vita militare l'abitudine a saltar giù dal letto alle prime luci del giorno e fare lunghe passeggiate mattutine, così anche la lontananza della catapecchia del pescatore, anziché un ostacolo, rappresentava per lui un piacevole motivo in più per quelle visite quasi quotidiane.
La casupola, una squallida costruzione in mattoni e calce che sembrava non aver mai conosciuto tempi migliori, sorgeva ad almeno un paio di chilometri dall'estrema periferia, su un piccolo poggio coperto da gramigna delle spiagge e chiazze azzurro cerulee di calcatreppola, di fronte ad un tratto di costa stretta e parzialmente sassosa. Sul retro della scalcinata costruzione, addossato alla parete, c'era un piccolo capanno degli attrezzi costruito interamente in legno.
Il colonnello si meravigliò di incontrare Ghiozzo, il cane del pescatore, infrattato tra i cespugli a duecento passi dalla catapecchia, immobile, lo sguardo fisso sul padrone che, sulla riva, di ritorno dalla pesca, stava tirando in secco la propria barca. L'animale non si allontanava mai da Du' Denti. Cosa poteva essere successo? Probabilmente il vecchio aveva avuto un altro dei suoi immotivati accessi di rabbia. Gli capitava spesso, specialmente dopo aver bevuto. Forse se l'era presa con il cane, e stavolta la bestia non gliel'aveva perdonato. Despotti pensò di avvicinarsi al povero bastardo per fargli una carezza e dirgli qualche parola amichevole, ma quando si accorse che l'animale, sempre fissando il padrone lontano, stava ringhiando sordamente, preferì proseguire per la sua strada. Ghiozzo era una pasta di cane, ma con le bestie non si sapeva mai.
Du' Denti aveva scaricato dalla barca una cassetta di pesce e la stava portando nel tugurio, quando vide avvicinarsi l'ufficiale in congedo. Lo accolse con l'abituale ruvidezza: - Sempre in piedi all'alba, eh?
- Mai perdere le buone abitudini! Come si dice, il mattino ha l'oro in bocca… e il pesce più fresco.
Il colonnello sogghignò, soddisfatto della propria battuta, ma non ottenne dal pescatore uno dei suoi caratteristici sorrisi sdentati. Quella mattina il vecchio non sembrava in vena di facezie. Appoggiando a terra la cassetta, disse: - Stamani ho solo qualche occhiata e un paio di saraghi.
Despotti si accoccolò, infilando le mani tra i pesci ed estraendone due o tre che soppesò con la mano uno dopo l'altro.
- Prendo quest'occhiata - disse al termine dell'esame.
Il pescatore raccolse la cassetta e si diresse verso la sua topaia: - Venga, le do un pezzo di carta per avvolgerla.
L'ufficiale seguì il vecchio all'interno della costruzione, composta da una sola stanza. Attraverso le malridotte persiane chiuse dell'unica finestra, il pallido sole mattutino disegnava sulla parete di fronte lunghe strisce giallognole. Il pavimento era in terra battuta, e solo in un angolo della stanza c'era un rialzo in muratura che ospitava lo sgangherato letto del pescatore. Il giaciglio, una stufa a legna, un vecchio armadio tarlato, un tavolo sghembo ed una sedia costituivano tutto il mobilio della catapecchia.
Appoggiata la cassetta sul tavolo, Du' Denti strappò da un gancio da macellaio appeso vicino al rozzo caminetto un foglio di carta gialla e lo porse al colonnello che si girò verso il tavolino per appoggiarcelo e avvolgervi il pesce. Poi, sempre dando le spalle al pescatore, Despotti estrasse il portafogli di pelle gialla.
- Solito prezzo, vero? - disse aprendolo ed accogliendo come segno d'assenso il silenzio dell'altro, ignaro della raccapricciante trasformazione che stava avvenendo alle sue spalle. Il corpo del vecchio si stava infatti leggermente allungando, mentre una pelle nera, liscia e lucida prendeva il posto di quella rugosa e cotta dal sole del pescatore. Due occhi di tenebra si fissarono sul collo dell'ufficiale in congedo. Due mani sottili munite di quattro sole dita si strinsero, saldissime, sui bicipiti dell'anziano militare bloccandolo in una morsa di ferro. L'uomo non ebbe neppure il tempo di sorprendersi per quell'inatteso contatto: dalla bocca della misteriosa creatura era fuoriuscita una specie di lungo pungiglione telescopico arcuato che andò ad infilarsi alla base della nuca del colonnello.

La Locanda Bellandi era situata quasi al centro del paese ed a duecento metri dalla spiaggia. Si trattava di una graziosa costruzione a due piani con le persiane di un bel rosso fegato, circondata da un basso muretto bianco interrotto solo dal cancelletto di legno dello stesso colore delle imposte. Un pergolato che correva lungo tutta la facciata e tre grandi alberi nel giardino promettevano una piacevole frescura nelle ore più calde della giornata.
Il giovane Bandini vi era arrivato poco dopo mezzogiorno. Fissata la camera e consumato un frugale pasto a base di pesce, era uscito per recarsi nella zona del porticciolo. Qui aveva iniziato a chiedere se negli ultimi giorni era stato raccolto qualche naufrago, nella zona.
Dopo una serie di risposte negative, la fortuna gli era finalmente venuta incontro in una sudicia bettola.
- Un naufrago? - gli aveva domandato un tozzo marinaio con la caratteristica maglietta a strisce orizzontali. Due grandi favoriti bruni gli nascondevano buona parte del viso butterato dal vaiolo - L'unico che ho sentito parlare di naufraghi da qualche anno a questa parte è quel matto di Du' Denti.
La sua uscita era stata accolta dalle risatine dei pochi astanti.
- È un vecchio pescatore che vive fuori dal paese - aveva spiegato un altro dei presenti. - Non c'è molto con la testa… soprattutto quando beve.
- E lo fa spesso - aveva commentato un terzo avventore suscitando le grasse risate degli altri.
- Mi piacerebbe ascoltare ugualmente la sua storia - aveva detto Bandini.
- Non le dirà niente - era intervenuto ancora l'uomo che aveva parlato per primo. - Quando sono andati i carabinieri, a chiedergli notizie del naufrago che diceva di aver raccolto, si è rimangiato tutto: ha detto che la sera prima aveva bevuto, che non si ricordava quello che aveva detto, e che comunque non sapeva nulla di naufraghi!
- Ma a voi cosa aveva raccontato?
- Oh, una storia strana… diceva di aver raccolto un negro in mezzo al mare, di notte. Secondo lui era così scuro che aveva nero anche il bianco degli occhi!
Tutti avevano riso di nuovo.
- Sicuro… i cinesi invece ce l'hanno giallo - era sbottato uno spilungone sdentato scatenando nuovi sghignazzi.
Al giovane, il racconto del marinaio dai grandi favoriti aveva invece causato un'intensa eccitazione. Cercando di non far trapelare il suo stato d'animo, il giornalista aveva sorriso ai suoi interlocutori ringraziandoli, ed era uscito dal locale con tutta la tranquillità che era riuscito a imporsi. Cinque minuti più tardi, dopo aver chiesto ad un passante dove abitava il vecchio pescatore, si era diretto a grandi passi verso la spiaggia.

Questa volta il buonumore di Eugenio Gandes non era durato nemmeno mezza giornata. Una frase della moglie durante il pranzo aveva suscitato un altro dei suoi scatti d'ira. C'era stata un'altra discussione, e lo scrittore era uscito di casa sbattendo la porta. La donna, continuando ad inveire ad alta voce, era andata in salotto, aveva messo un disco sul grammofono e si era versata un'abbondante dose di cognac. Aveva tracannato il liquore d’un fiato, poi aveva tirato fuori da una delle tasche della gonna un rosario ed aveva cominciato a sgranarlo mormorando una litania sorda e rabbiosa. Anya non comprendeva come la madre potesse trovare sollievo alle sue sofferenze al contempo nell’alcol e nella devozione, ma forse questo suo atteggiamento schizofrenico spiegava anche l’educazione rigorosa e soffocante che le veniva imposta in inverno e la libertà di cui godeva d’estate.
Dopo essere rimasta a lungo seduta a tavola, guardandosi le mani unite in grembo, incapace di fronteggiare la devastazione che sempre più quei litigi operavano nel suo animo, la ragazza era andata in camera dove aveva indossato una camicetta blu col collo alla marinara ed una fresca gonna bianca di cotone. Aveva preso il suo cappellino di paglia di Firenze per ripararsi dal sole ed era uscita. Si era diretta verso la spiaggia, un po' fuori dal paese, dove si era seduta su una bassa duna davanti al mare, le gambe strette tra le braccia ed il mento sulle ginocchia.
Era ancora lì quando, camminando sul bagnasciuga con le scarpe in spalla, passò Junio Bandini diretto alla capanna del pescatore. Anya non ci pensò un attimo. Saltò giù e lo raggiunse.
- Dove sta andando? - gli chiese con una sfacciataggine che sorprese lei per prima.
Lui la guardò come se cercasse di capire dove l'aveva già vista.
- Ero alla stazione stamani - l'aiutò lei. - Mia madre l’ha indirizzata alla Locanda della signora Bellandi…
- Ah, sì… ricordo perfettamente. Mi scusi se non l’ho riconosciuta subito. Ero… preso dai miei pensieri. Sto cercando la capanna di un pescatore… qui lo chiamano Du' Denti!
- Lo conosco… come tutti, in paese. Il nostro vicino prende sempre il pesce da lui… e qualche volta anche mia madre.
- Mi hanno detto che abita in una baracca sul mare…
- Sì, ma non le conviene passare dalla spiaggia. Qui la costa si allunga sul mare… ci metterebbe il doppio del tempo!
- E qual è la strada più breve, allora?
- Di là - disse la ragazza indicando oltre la duna dove era seduta poco prima. - Venga, le faccio vedere…
Il giornalista si rimise le scarpe e seguì Anya attraverso gli alti cespugli di ginepro e poi lungo un sentiero che si inoltrava nella pineta. Per qualche minuto la fanciulla, come spaventata dall'audacia dimostrata poco prima, guidò la marcia chiusa in un mutismo imbarazzato, sperando che fosse il giovane a parlare di nuovo. Junio sembrava però più interessato alla natura che lo circondava che alla conversazione. Con lo stesso sguardo pieno di meraviglia con cui quella mattina, dal treno, si era affacciato sulla stazione del paese, osservava i tronchi plasmati dal vento e i maestosi ombrelli dei pini domestici che, nei tratti più vicini alla costa, cedevano il posto ai pini marini o a qualche pino d'Aleppo, e si inebriava del caratteristico profumo dei gigli di mare che, qua e là, ingentilivano il terreno coi loro candidi e affusolati fiori.
- Deve comprare del pesce? - chiese la ragazza rompendo infine il silenzio.
Il giornalista la fissò per un istante, incerto sull'utilità di parlare della sua ricerca a quella ragazzina. Poi pensò che non c'era motivo di nasconderle quello che aveva già spiattellato a mezzo paese.
- No, sto cercando notizie su un naufrago approdato da queste parti… e sembra che Du' Denti ne sappia qualcosa.
- Un naufrago?
Quella figura romanzesca sembrava fatta apposta per scatenare la fantasia di Anya. Dimenticato di colpo il litigio dei genitori che, dopo l'incontro col giovane, aveva accantonato in un angolo della sua mente da dove però continuava a tormentarla, la fanciulla sommerse Junio sotto un diluvio di domande: - Chi è? Si trovava su una nave affondata da queste parti? E perché lo cerca? È un criminale? Un evaso? È pericoloso? Crede che si nasconda in paese?
Il giornalista rise, divertito da quell'assalto verbale: - Ehi, ehi, calma! In due secondi ha già costruito un romanzo sulla mia frase! Deve essere una validissima collaboratrice, per suo padre! Se non ricordo male, è scrittore…
La giovane arrossì violentemente, chinando la testa e nascondendo così lo sguardo sotto l'ampia tesa del cappellino.
- Mi scusi - disse poi rialzando il viso e fissando negli occhi l'interlocutore con uno di quei sorrisi d'adolescente dove colpa e assoluta innocenza si mescolano senza contraddizione. - Ha ragione, non riesco mai a controllare le mie fantasie… che, d'altronde, di solito non racconto ad alcuno!
- Allora, grazie per l'eccezione di cui mi ha onorato - sorrise a sua volta l'altro. - E comunque non deve scusarsi. La colpa è mia. Non avrei dovuto parlare con tanta leggerezza! Come ho già detto stamani a sua madre, mi occupo di cronaca e questo mi porta a considerare in modo freddo e professionale avvenimenti che una giovane fanciulla come lei ha invece tutto il diritto di vedere in chiave più romantica.
In quel momento, uscendo dal folto della pineta, i due giovani giunsero in vista della catapecchia del pescatore.
- Ecco - disse Anya arrestandosi e indicando il tugurio, ansiosa di togliersi dall'imbarazzante situazione in cui s'era cacciata - Du' Denti abita lì.
Anche il giovane si fermò, valutando per un attimo l'opportunità di congedare la ragazza prima di proseguire. Tutto sommato, però, la presenza di lei avrebbe reso più facili le cose. In qualunque caso.
- Venga - la invitò dunque semplicemente, riprendendo il cammino.
La casupola era avvolta nel silenzio, rotto solo dal rumore della risacca e le sgraziate grida di alcuni gabbiani. Junio e la ragazza si avvicinarono alla catapecchia. Lo sgangherato uscio era accostato. Il giornalista bussò con le nocche sul legno mangiato dalla salsedine. Dall'interno rispose un uggiolio lamentoso.
- È Ghiozzo, il cane di Du' Denti - spiegò la giovane. Si insinuò tra Junio e la porta e la spinse, affacciandosi nel sudicio stanzone.
- Du' Denti? - chiamò mentre i suoi occhi si abituavano alla semioscurità del locale. - Sono Anya, la figlia della signora Gorla.
Nella stanza c'era solo il cane, mestamente accucciato sul pavimento di terra battuta. Uggiolò di nuovo, e quando la ragazza si chinò ad arruffargli il pelo, accettò le carezze senza scodinzolare.
- Sarà fuori a pesca? - domandò il giornalista guardandosi intorno.
- No, c'è la sua barca, fuori. A quest'ora è più probabile che sia andato in paese a comprare qualcosa… o a ubriacarsi! È più facile trovarlo al mattino, quando rientra dalla pesca.
- Tornerò domani, allora… se non lo trovo prima in paese - disse Junio avviandosi all'uscita. Dopo un'ultima carezza alla bestia, la fanciulla lo seguì. Richiudendo l'uscio sugli occhi tristi dell'animale, piegò la testa di lato, perplessa: - È strano, però… Ghiozzo ed il suo padrone sembravano inseparabili.
- Anche i più grandi amici, ogni tanto, litigano - commentò lui con un'alzata di spalle.
La ragazza si rabbuiò in volto.
- Non solo gli amici - sospirò.
Il giovane si girò a guardarla.
- Ho detto qualcosa di sbagliato? - domandò con gentilezza.
- No, no… non si preoccupi. È… mio padre. Da qualche tempo basta niente per farlo infuriare. Litiga sempre con la mamma… ed io ci sto male.
Il giovane riuscì a dire soltanto: - Mi dispiace.
I due ripercorsero il cammino già fatto chiusi in un silenzio imbarazzato. Giunti in paese, si separarono con un semplice saluto.
Tornando verso casa, la fanciulla fu di nuovo assalita dall'angoscia al pensiero di trascorrere un'altra serata coi genitori che si guardavano in cagnesco o si gridavano dietro l'un l'altro.
Trovarli tranquillamente seduti in giardino impegnati in un’animata conversazione col colonnello Despotti sorseggiando limonata ghiacciata fu perciò una vera sorpresa.
- Anya! Non indovineresti mai - l'accolse raggiante la madre sventolando un telegramma. - Siamo stati invitati ad una festa e una crociera sulla nave di un ricchissimo armatore francese!
- È un cultore delle Arti - spiegò il padre. - In crociera nel Mediterraneo, farà sosta per qualche giorno all’Hotel Palazzo di Livorno, poi salperà di nuovo diretto in Sardegna e Corsica! Non è fantastico? Siamo famosi anche oltralpe!
- Merito della mia esibizione parigina di qualche anno fa - rise divertita la madre.
- E dell'edizione francese dei miei primi due libri, non dimenticarlo - la ammonì Gandes sorridendo ed agitandole contro un dito.
- Come si chiama questo riccone? - chiese la ragazza ancora incredula per la ristabilita armonia tra i genitori.
- Jean-Michel… qualche cosa!
- Dutroux - intervenne l'ufficiale in pensione. - Jean-Michel Dutroux. Ne parlano anche sul giornale. Di lui e del suo panfilo…
Despotti mostrò una copia del Telegrafo, un diffuso foglio locale: - Sentite qua: "Con la sua prua da clipper, gli alberi leggermente inclinati verso poppa, il castello di prua ed il casseretto sopraelevati, il Reine Antoinette è uno dei più eleganti yacht da diporto. I suoi 100 metri di lunghezza, le 1840 tonnellate di stazza ed il motore da 5000 cavalli ne fanno un miracolo della tecnica. Il doppio scafo e dieci compartimenti stagni ne garantiscono la sicurezza. Ma la sua caratteristica più impressionante sono le comodità di cui è dotato: riscaldamento a vapore, un sistema di ventilazione forzata per i climi più caldi, un impianto per l'energia elettrica che alimenta un migliaio di lampadine ed una macchina che produce più di 500 chili di ghiaccio al giorno. Gli splendidi saloni rivestiti a pannelli ed adornati di pregevolissimi stucchi, le scale con balaustra ed un vero tesoro di antichità che abbelliscono camere e salotti ne fanno un grande, sontuoso palazzo galleggiante."
- Nemmeno nei miei romanzi più fantasiosi ho concepito un simile lusso - rise lo scrittore. - Pensate: ha un equipaggio di quasi cento persone!
- E… quando ci sarà questa festa? - domandò la ragazza rendendosi conto di colpo di aver progettato, senza ammetterlo neanche con se stessa, di farsi trovare di nuovo l'indomani sul cammino del giovane Junio.
- Fra quattro giorni - le rispose il padre. - Il signor Dutroux manderà una vettura a prenderci al mattino.
La fanciulla sorrise. Avrebbe avuto il tempo di rivedere il suo nuovo amico.
- Sarà bellissimo - disse ancora la madre. - Anche sulla nave, ad ogni sosta ci sarà un ricevimento!
Il vicino di casa si versò un altro bicchiere di limonata: - Così avrete occasione di vedere i meravigliosi e preziosissimi gioielli della signora Dutroux. Il giornale dice che li conserva nella inattaccabile cassaforte di bordo e li indossa solo durante i ricevimenti sullo yacht…
Osservando il sorriso di Despotti mentre si portava il bicchiere alle labbra, Anya, senza comprenderne il motivo, si sentì gelare il sangue.

Già da un po' le punture si sono ridotte a sporadiche bucature di spillo. Serge pensa che può provare a muoversi. Riposto il manu-lector, prova ad alzarsi lentamente in piedi. A parte un piccolo capogiro che sparisce in un attimo, tutto sembra funzionare alla perfezione. Si mette in spalla lo zainetto, muove qualche passo e si affaccia in uno stretto corridoio le cui pareti sono percorse da un numero impressionante di cavi e tubi che sembrano essere stati accumulati lì nel tempo senza alcun criterio. C'è una bella differenza tra l'Itinerus III e il modesto sub-spatier di Kish! Qui gli spazi sono terribilmente limitati e non ci sono stati architetti d'interni a studiare ambienti, colori e arredamento. O, se ci sono stati, dovevano essersi bruciati il cervello con qualche sintodroga. L'unico tentativo di abbellire l'interno del veicolo sembrano essere alcuni plasto-alfagraffiti realizzati sui pochi tratti liberi di parete dei corridoi.
I mosaici letterari, come vengono anche chiamati, sono stati inventati una dozzina d'anni prima dal tek-taoartista Kroliass e consistono nell'u-sare frasi più o meno famose, ma sempre di grande pregnanza filosofica, politica o religiosa, le cui singole lettere, in vari formati, nei caratteri e con i colori più diversi, vengono usate per comporre con l'uso di plasto-pitture cangianti una specie di mosaico, di genere realistico o astratto, che nelle intenzioni dell'artista dovrebbe permettere ai fruitori dell'opera di penetrare per via estetica il significato della frase. I plasto-alfagraffiti hanno incontrato grande fortuna presso i più diversi gruppi sociali di molti pianeti: normali coppie postborghesi, giovani delle frange ribelliste di vario genere, panreligiosi Ultima Aetas e perfino affiliati di sette neoil-luministe come gli Spiritualisti Universali o i Panalienisti. Al giovane francese, invece, non sono mai piaciuti molto. Prima di tutto perché sono diventati di moda, e lui diffida sempre delle mode. E poi perché rispetta troppo la fatica dello scrivere per accettare che una singola frase venga estrapolata dal suo contesto per farle assumere valenze emotive esagerate o addirittura diverse da quelle volute dall'autore.
Una leggera fitta alla vescica ricorda a Serge che non orina da sette mesi. Sulla sua destra sta arrivando uno strano individuo con una tuta nera da lavoro. Serge non ha mai visto creature di quel genere: alto poco meno di lui, l'alieno ha una testa che sembra una grossa cipolla bianca percorsa da rade striature verticali verdognole. Verdi sono anche gli occhi, due globi lucidi inespressivi. Ha due braccia snodate, simili a tentacoli, che terminano in mani con tre lunghe dita. Al termine del busto si sviluppa una protuberanza posteriore simile all'addome delle formiche. Quattro gambe arcuate danno all'andatura dell'alieno un'impressione di perenne fretta.
L'universo è davvero pieno di razze sorprendenti, pensa il giovane. E spesso, nonostante il grande sviluppo che hanno avuto i viaggi interplanetari dopo l'apertura delle vie sotto-spaziali, molte ignorano l'esistenza delle altre. Infatti, nonostante il Trattato di Libero Commercio Panplanetario, solo gli abitanti dei sei pianeti più ricchi, legati da comuni interessi economici, hanno reali scambi interrazziali fra di loro. Non è sempre così, invece, per le specie dei pianeti economicamente più periferici, e in particolar modo per quelle del cosiddetto Universo Sofferente. Alcune di queste non arrivano in certi casi neppure alla ribalta di programmi come "Nostri Fratelli Alieni" o "Conosci l'Universo", e dunque semplicemente non esistono per gran parte dei distratti abitanti della Fascia del Benessere.
- Scusa, sai dirmi dov'è il bagno? - chiede il francese quando l'altro arriva alla sua altezza.
L'alieno dalla testa a cipolla prosegue come se non l'avesse sentito e sparisce girando l'angolo in fondo al corridoio. Serge resta a guardarlo per un attimo, poi scuote la testa e si avvia nell'altra direzione alla ricerca di componenti dell'equipaggio più socievoli. Fatti pochi bassi, si imbatte in un altro di quegli strani esseri. Questo ha la pelle di un lucido colore nero, solcata dalle stesse striature verdi. Il giovane, ammaestrato dall'esperienza precedente, sta per proseguire limitandosi a salutare l'alieno con un cenno della testa, ma questo gli si para davanti e, con voce stridula, gli dice inaspettatamente: - Segui il corridoio sulla sinistra fino al magazzino Tre. Il bagno è giusto di fronte.
Prima che lo sbalordito Serge possa aggiungere qualcos'altro a un biascicato grazie, la creatura si è già allontanata con la sua andatura ballonzolante. Sempre più perplesso, il giovane riparte nella direzione indicata. Il gabinetto è un bugigattolo mal illuminato con un lavandino, il wc e un altro strano elemento a parete con un'apertura ad "u". Probabilmente, un tipo di sanitario studiato per la particolare anatomia delle teste a cipolla.
Il francese chiude la serratura elettronica della porta, alza la tavoletta del wc e si libera la vescica. L'impianto di biorigenerazione dell'aria, che anche nel resto del sub-spatier lascia aleggiare un permanente odore dolciastro fatto di sudore, aromi di cucina e grasso di macchina, nel ristretto ambiente del gabinetto ha lasciato depositare un forte sentore di ammoniaca e altri sgradevoli olezzi. Anche se Serge di solito apprezza la pulizia e l'assenza di odori, specie se cattivi, si sorprende a essere felice del cattivo funzionamento dell'impianto di aerazione. L'idea che Kish possa vivere in un ambiente simile per lunghi periodi e per di più in compagnia di personaggi quantomeno scombinati conservando un'allegria e una vitalità invidiabili, infatti, lo spiazza. Non gli è facile inventarsi qualche fantasticheria delle sue su una ragazza del genere, così diversa da tutte quelle che ha avuto modo di frequentare fino a quel momento. Sì, è una situazione davvero interessante. Forse questa volta sarà costretto a provare a vivere un rapporto direttamente nella pratica. E magari funzionerà.

È ancora assorto in questi pensieri quando, uscito dal bagno, si imbatte proprio in Kish.
- Un unicreditus per i tuoi pensieri - scherza la ragazza con un sorriso. - Stavo venendo a svegliarti.
- Non sono riuscito a dormire. Mi sono rimesso a leggere il libro che avevo iniziato prima dell'incidente - confessa lui con aria quasi colpevole.
- È interessante?
- Sì... direi di sì. Quantomeno curioso. Lo inseguivo da un bel po' di tempo. Pensa che non è mai stato pubblicato. Si dice che un anonimo amico dell'autrice lo abbia messo su Internet dopo la morte di lei, all'inizio del secolo scorso, e ce l'abbia lasciato. In assenza di notizie più precise, si sono subito creati due partiti: uno pensa che si tratti di una storia vera e che l'autrice sia la stessa protagonista del romanzo, anche se l'ha scritto in terza persona. Secondo questa tesi, il malvagio alieno protagonista del romanzo sarebbe ancora vivo, ibernato da qualche parte e pronto a tornare a seminare sofferenza e morte. L'altro schieramento ritiene invece che si tratti di pura invenzione o, ancora peggio, di un goffo tentativo di sottrarre a Fantômas la palma di primo dei grandi cattivi della letteratura popolare...
- Fantômas ? Mai sentito.
- Lo immagino.... è roba di inizio Novecento! Comunque, dopo un po' anche in rete si erano perse le tracce del libro. Solo recentemente un appassionato ne ha scovato una copia digitale in casa di un parente morto e l'ha rimesso in circolazione.
- E tu a quale partito appartieni?
- Te lo dirò quando avrò finito di leggerlo - sorride Serge. - È pronta la cena?
- Sì, vieni - lo invita la giovane precedendolo lungo l'angusto corridoio. - Se sopravvivi anche alle sbobbe di Ciorba non dovrai temere più nulla, nella vita.
- È un alieno anche il cuoco?
- No, è turco. Ciorba significa "minestra", nella sua lingua. Qui a bordo usiamo tutti un nome di battaglia, per chiamarci. Quello del mio secondo pilota vuol dire "fuori rotta", quello dell'addetto all'extrakomuni-kator "segnali di fumo", e Tassra è il nome di una specie di gazza ladra asimyana…
- Il tuo in che lingua è? Ebraico?
La ragazza ride divertita: - No, è solo una versione fonetica e abbreviata di Don Chisciotte. Me l’hanno affibbiato perché non mi tiro mai indietro se c’è da affrontare qualche mulino a vento!
Il passaggio di un’indaffarato testa-a-cipolla ricorda al francese l’episodio di poco prima. Lo racconta a Kish, che ride divertita.
- Sono kokkraniani - spiega. - Sul loro pianeta, ogni esemplare femmina fonda una “colonia” composta da un numero variabile di “covate” di sei o sette individui che vivono in una specie di… simbiosi. In qualche modo misterioso, comunicano fra di loro in tempo reale. È come un’unica mente con più corpi. Che si tratti di telepatia, di feromoni o altro, ogni componente della covata "sente" tutto quello che sentono gli altri, nello stesso istante. Non utilizzando fra di loro comunicazione verbale, però, i kokkraniani “normali” non hanno sviluppato apparati fonici…
- Stai parlando di quelli con la pelle bianca?
- Esatto. Per comunicare tra covata e covata o tra covate di diverse colonie, invece, in ogni gruppo c’è un “comunicatore”, quello con la pelle nera, sempre privo di bocca ma dotato di una qualche altra specie di apparato fonico che gli consente di emettere delle vibrazioni un po’ stridule simili alla nostra voce…
- Capisco: è venuto lui a rispondermi perché il primo testa-a-cipolla che ho incontrato ha sentito la mia domanda ma non era in grado di parlare…
La ragazza ride di nuovo: - È vero, sembrano proprio dei cipolloni… ma non farti sentire da loro! Non so se apprezzerebbero l’accostamento… e non vorrei proprio che scioperassero per protesta! Per un sub-spatier a conduzione spartana come il mio, quei formiconi sono una componente irrinunciabile dell’equipaggio!

- Ecco il nostro naufrago - esclama gioviale Jeampot vedendo entrare Kish e Serge nell'ampio vestibolo che serve da cucina e sala mensa. - Venite, vi ho tenuto due posti!
- Sì, sedetevi… prima che questi sfondati si mangino anche la vostra parte - brontola il cuoco turco gesticolando verso i nuovi arrivati con un mestolo di legno e tornando subito a servire gli ospiti e la parte dell'equipaggio non occupata con le manovre. È un uomo tarchiato, robusto, con una voce di tuono lontano, folti capelli neri, la pelle olivastra e due baffoni che gli coprono tutto il labbro superiore.
Come negli antichi sommergibili terrestri, per ovviare alla endemica carenza di spazio, anche nei piccoli sub-spatier da trasporto i tavoli sono a scomparsa. Costruiti abitualmente in metallo o Plastofort, vengono tirati giù quando si mangia e fatti rientrare nella parete al termine del pasto. Sul Seattle ce ne sono in tutto quattro, dotati di tre sedili ciascuno, anch'essi rientrabili. Intorno a uno di quelli aperti in quel momento sono riuniti alcuni dei componenti dell'equipaggio della motobarka di Viridis Spatium: il thaelese Sembangg, il viszurrriano Tarrr'azd e il d-loock It-Doodd. A un altro, insieme a Drrr'olz e Tassra, siede l'altro occupante della motobarka, il terrestre Lopez-Vigo. Serge e il capitano si siedono nei posti vuoti al tavolo di Jeampot.
- Non sarà la cucina dell'Itinerus III, ma ti piacerà, vedrai! - dichiara invitante il canadese mentre il cuoco vuota nei piatti dei nuovi arrivati, direttamente dal tegame, alcune strane polpette cubiche annegate in un sugo verde dai riflessi dorati
- Come potrebbe essere altrimenti? Sono sette mesi che non mangio! - scherza il naufrago affondando la forchetta in uno degli invitanti "dadi".
- Ciorba cucina solo piatti di sua invenzione. - spiega la giovane comandante. - Questo si chiama "viridis aleas"… e non chiedergli cosa c'è dentro! È talmente geloso delle sue ricette che quando compra le provviste per il viaggio si rifiuta di presentare la lista di quello che ha acquistato!
- Secondo lui è per evitare che scopriamo gli ingredienti della sua cucina… ma io credo che sia solo una scusa per poter fare meglio la cresta sulla spesa! - ridacchia l'asimyano dall'altro tavolo.
- Lo farei se fossi un ladro come tutti quelli della tua razza - tuona il turco dall'acquaio dove è andato a depositare il tegame ormai vuoto.
- M-mmm… comunque è buonissimo - sentenzia il francese. Un invisibile sorriso di orgoglio professionale rimescola i baffi del cuoco e trasforma in fessure i suoi occhietti neri.
- Non ti vorrei mai come compagno di virtuapoker, specie di tricheco anatolico - ironizza Jeampot a cui non è sfuggito il moto di soddisfazione del turco. - Ti si legge in faccia tutto quello che pensi!
- Almeno non ha bisogno di riempirsi il corpo di pictografie fluorescenti - lo difende Kish.
- Cos'hai contrrro i tatuaggi vhann? - domanda il viszurrriano mentre la sua pelle pulsa di ocra fastidio e di un bellicoso porpora. - Dovrrresti farrrteli anche tu. Magarrri uno solo, piccolo piccolo, su una guancia…
- Non ci tengo a mostrare a tutti quello che provo. Per una che ha responsabilità di comando, potrebbe essere molto controproducente.
- Beh, volendo si possono tarrrarrre perrrché si accendano in modo casuale!
- Sicuro, in modo da segnalare disgusto a qualcuno con cui vorrei andare a letto!
- Può succederrre - ridacchia Drrr'olz.
- Può anche succedere che vai affanculo - lo congeda la ragazza.
Serge ha seguito lo scambio di battute con un sorriso divertito. Assurdamente, non si è mai sentito così a casa come in mezzo a quella gente.






3



Al termine del pasto, mentre il cuoco attiva il piccolo robo-pulitore di bordo e chiude i tavoli, un messaggio nell'intersonus richiama Kish nella camera di manovra: si avvicina il momento di entrare in un altro canalis interlekti. La giovane invita gli ospiti a raggiungere la zona cuccette, poi dice ai due dell'equipaggio di seguirla e si allontana svelta.
- Venite, togliamoci di qui - dice Jeampot agli altri, e guida il gruppetto verso la zona notte. Nel corridoio incrociano due kokkraniani impegnati a trasportare una grossa capsula di carburante. I sei si appiattiscono contro la parete per farli passare.
- In queste carrette da trasporto non c'è molto spazio per gli ospiti… e quando hanno da fare è meglio non stare troppo tra i piedi! - sorride il canadese rivolto al naufrago. Un minuto più tardi raggiungono la zona delle cuccette.
- Ecco… questo è l'unico posto dove non daremo noia ai nostri indaffarati ospiti, per il momento. Ci conviene sdraiarci sulle brande… sopporteremo meglio l'effetto frullatore del passaggio nel canale!
Il thaelese dice che per lui tra poco sarà l'ora della Comunione con gli Antichi e si ritira in un angolo. Si toglie dalle spalle lo zainetto, ne estrae una specie di sacco ripiegato, lo apre, ci si accoccola dentro e se lo chiude sopra la testa con l'apposita claustrogumma.
Serge, che come gli altri si è sdraiato su un lettino e si è afferrato con tutte e due le mani alle sbarre laterali della rete, osserva affascinato. Ha sentito parlare delle usanze dei thaelesi, ma è la prima volta che ne vede uno compiere il particolarissimo rito.
- Ci siamo - annuncia Lopez Vigo un istante prima che il rombo assordante del passaggio a un nuovo letto copra ogni altro suono.
Al termine delle scosse, mentre anche le orecchie tornano lentamente alla normalità, i cinque ospiti del sub-spatier si tirano a sedere.
- Sull’Itinerus non succedeva tutto questo casino quando ci si infilava in un canalis - commenta Serge.
- Le grandi navi da crociera hanno un sovrascafo equilibratore… troppo ingombrante e costoso per montarlo su un mezzo da trasporto come questo - sorride l'ambientalista mentre estrae da una tasca interna del giaccone un videoludo: - A chi va di fare una partitina a virtuapoker?
Dal sacco del thaelese sale una lenta melodia singhiozzante.
Tillieux dice che non gioca mai di soldi, ma che starà volentieri a guardarli per un po'.
- Taccagno - lo rimbrotta allegramente Jeampot. - E sì che, appena tornato sulla Terra, diventerai ricco sfondato!
Il francese gli lancia uno sguardo interrogativo.
- Ehi, sei l'unico superstite dell'Itinerus! - spiega il canadese. - Gli Uni-media si contenderanno le tue memorie a suon di milioni.
- Uh! Già, è probabile. Non sono abituato a maneggiare molti soldi… ma mi hanno detto che ci si abitua in fretta!
Raccolte le adesioni di It-Doodd, di Lopez Vigo e del viszurrriano, Jeampot apre il minifascis di manu-lector da gioco e ne distribuisce uno a testa ai giocatori. Ripone in tasca i due che avanzano e invita tutti ad accendere quello ricevuto.
- Giochiamo senza farci troppo male… solo per passare il tempo, d'accordo? Vanno bene venti unicreditus a cranio in fiche da dieci, venti e cinquanta unimicro? Apertura minima dieci micro e rilancio massimo di due crediti, okay?
Con due rapidi colpetti sul tasto d'avvio rimescola il mazzo virtuale e distribuisce le strisce sui manu-lector degli altri. Serge, che si è appostato alle spalle del viszurriano, osserva le cinque apparse sul suo lettore: due Sub-spatier rossi, un Decem rosso, un Unus blu e una Stella rossa. Potrebbe valere la pena di tentare il Coloris. Il giocatore è il primo a parlare. Apre di venti micro. Gli altri lo seguono. Il mazziere rilancia di altri venti. Ci stanno tutti meno Lopez-Vigo. Tarrr'azd chiede una striscia, il portoghese tre, It-Doodd due e il canadese tre.
- Parrrola al rrrilancio - dice il viszurriano con voce neutra mentre comincia a scoprire la nuova striscia ricevuta. È un Octo rosso!
- Quaranta unimicro per conoscere le mie strisce - dichiara Jeampot con una smorfia di sfida mettendo la sua posta sulla tavola telematica. Il viszurriano rilancia del massimo consentito. Lopez-Vigo vede. Il d-loock si ritira. Il mazziere, a sorpresa, rilancia a sua volta di due crediti. Le sopracciglia dei partecipanti ancora in gioco si alzano impercettibilmente. Tarrr'azd storce la bocca in un sorriso infelice: anche se il canadese stesse bluffando, col proprio rilancio si è messo nella condizione di dover andare a vedere. Lo fa. Il portoghese ci pensa per trenta lunghi, silenziosi secondi, poi se ne va.
- Allorrra? - chiede il viszurriano impaziente.
- Poker! - sogghigna il canadese togliendo il vinculum e facendo così apparire la propria striscia sul manu-lector dell'altro. - Di Novem! Mica male per uno che aveva in mano solo una coppia, eh?
- Hai un culo come una navis-fabrika! - brontola lo sconfitto cancellando le strisce dal piccolo schermo.
- E, alla faccia del famoso detto, sono anche fortunato in amore! - ridacchia il vincitore.
- Già. Vorrei sapere cosa ci trovano in te le donne! - si interroga Lopez-Vigo mentre ripristina l'opzione di gioco sul proprio lettore.
- Chiedilo a Kish! - gigioneggia Jeampot.
Serge si sente svuotare di colpo i polmoni.
- Ammesso che se lo ricordi ancora - ironizza il portoghese con un mezzo sorriso sulle labbra. - Ormai sono due anni che ti ha scaricato!
L'aria ritorna nei polmoni di Serge. Ma solo a metà.
- Non mi ha scaricato! Ci siamo lasciati - tenta di puntualizzare l'am-bientalista mentre rimescola il mazzo virtuale e ridistribuisce le strisce.
- Sì… dopo che ti aveva scarrricato! - ghigna il viszurriano strappando risatine a tutti. Il francese riesce ad abbozzare solo un sorriso a mezza bocca. Spera che gli altri attribuiscano quella smorfia alla sua estraneità ai fatti. Poi si rende conto che nessuno sta facendo caso a lui. Il gioco è ripreso. E la fortuna sembra aver già abbandonato Jeampot che non imbrocca più una mano. Prima è Tarrr'azd a portarsi a casa una quindicina di unicreditus con un Perfectus di Sub-spatier e Novem, poi è Lopez Vigo a infilare uno dietro l'altro un Coloris, un Perfectus e due Scalæ vincenti. A quel punto Serge si allontana dai giocatori. Torna a stendersi su una branda e si rimette a leggere.

2. Una macabra scoperta
Lasciando i genitori ai preparativi per la crociera nella ritrovata armonia, Anya sgattaiolò fuori di casa di primo mattino addentando un pezzo di pane. Una profonda voce maschile mandò subito in frantumi la sua speranza di allontanarsi inosservata: - Buongiorno, signorina Gandes. Dove sta andando così di buon mattino?
Appena fuori dal cancello della sua villetta, Despotti la fissava con espressione bonaria, una piccola valigia in mano.
- Buongiorno, colonnello - salutò a sua volta la fanciulla. - Vado a fare… due passi in paese. E lei… parte?
- Sì, devo recarmi a Livorno… ho qualche affare da sbrigare. Stavo appunto venendo a chiedere a sua madre se può occuparsi dei miei fiori mentre sono via. Vuole domandarglielo lei?
La ragazza assicurò all'ufficiale in congedo che l’avrebbe fatto, gli augurò buon viaggio e si allontanò cercando di mantenere un'andatura non sospetta. Appena girato l'angolo, però, sicura di non essere più vista dal vicino, aumentò il passo attraversando quasi di corsa il paese e si infilò nella pineta, diretta alla casupola di Du' Denti. Forse Junio era stato più mattiniero di lei, ma la fanciulla confidava comunque di trovarlo ancora lì a parlare col pescatore, o almeno di incrociarlo sulla via del ritorno.
Ora che l'invito dell'armatore aveva riportato, almeno per il momento, la serenità in famiglia, nei pensieri della fanciulla c'era posto solo per il misterioso naufrago. Per tutta la sera aveva immaginato tempeste che travolgevano vecchie imbarcazioni uccidendo tutti gli occupanti meno uno. Il superstite, nella sua fervida fantasia, diventava ora un bellissimo e ricchissimo principe rapito da una banda di pirati, ora un terribile criminale sfuggito alla giustizia e pronto a spargere il terrore sulla costa livornese. Anche i suoi sogni erano stati agitati da naufragi e personaggi inquietanti, ed al risveglio la ragazza era più che mai decisa a seguire da vicino l'indagine del giovane Bandini. Quando arrivò alla dimora del vecchio, il posto appariva deserto come il pome-riggio precedente. Dalla catapecchia proveniva però uno strano susse-guirsi di tonfi sordi e di rumori raschianti. Anya si avvicinò con pruden-za. La porta era spalancata. All'interno Ghiozzo, ritto sulle zampe, os-servava un uomo intento a scavare nel pavimento di terra battuta.
- Cosa sta cercando? - chiese la fanciulla all'individuo che le voltava le spalle. Il giornalista, giacché proprio di lui si trattava, si girò di scatto alzando la pala verso la nuova arrivata come se volesse usarla per difendersi.
- Oh, è lei - disse riabbassando l'attrezzo. - Cosa ci fa qui?
- Io… volevo sapere come procedeva la sua indagine.
- Non sarebbe dovuta venire. Questi non sono spettacoli adatti ad una ragazza.
- I miei genitori mi hanno educata ad affrontare la realtà in tutti i suoi aspetti - rispose lei piccata. - Risponda alla mia domanda, dunque.
Junio la osservò in silenzio per qualche istante, valutando le implicazioni della scelta che stava per fare.
- Sto cercando Du' Denti - sospirò infine.
- Mio Dio! Vuol dire che…
- L'ho cercato in paese, ieri sera, ma non l'ha visto nessuno da almeno un paio di giorni… e anche qui non c'erano segni recenti della sua presenza. Sono arrivato di buon'ora e, vedendo Ghiozzo sempre fermo nel solito punto, come se facesse la guardia a qualcosa, mi sono ricordato delle sue parole su come il cane ed il vecchio fossero inseparabili. Ho pensato a quelle storie di animali così legati al loro padrone da lasciarsi morire… sulla sua tomba!
- Oh, ma… è spaventoso!
- Lo so… ma non per questo meno plausibile. Perciò sono andato a cercare una pala nello stanzino degli attrezzi dietro la casa…
La fanciulla fissava affascinata lo scavo. Lui le domandò se era sicura di voler restare.
- Dovrò farlo. Lei non conosce Du' Denti. Avrà bisogno di me, per identificarlo.
Con una smorfia, il giornalista le girò le spalle e si rimise al lavoro. Lei, che entrando si era tolta il cappellino, lo appoggiò sul tavolo.
Il giovane scavò con energia fino a quando il badile incontrò una resistenza diversa. Junio prese allora a scavare tutto intorno con maggiore attenzione e delicatezza. Poi piantò la pala nel terreno smosso, si chinò e continuò l'opera con le mani, portando rapidamente alla luce prima il petto e poi il viso di un uomo. Appena i lineamenti del volto affiorarono dal terriccio, la ragazza si lasciò sfuggire un grido.
- È lui? - domandò il giovane.
- No! - gli rispose la ragazza con voce soffocata, sentendosi mancare. Le pareva che l’intera stanza avesse preso a girarle intorno. - Quello è… il mio vicino di casa… il colonnello Despotti!
Il giornalista aggrottò la fronte.
- Maledizione - borbottò il giornalista passandosi una mano nei capelli. - Si stanno avverando le mie previsioni più pessimistiche!
Si chinò a esaminare con più attenzione il cadavere.
- È morto da almeno ventiquattr'ore - disse al termine di un sommario esame.
- Non… non è possibile - esclamò la ragazza sgranando ancora di più gli occhi, mentre il sangue tornava ad affluirle al volto. - L'ho visto… non più tardi di mezz'ora fa! Gli ho parlato!
- Maledetto demonio - sibilò il giovane rialzandosi e sferrando un calcio alla pala che, cadendo, mancò di poco il cane. La bestia guaì, arretrando fino alla parete.
- Ma che succede? - chiese la ragazza, sconvolta e confusa, mentre si lasciava cadere sull'unica sedia posseduta dal pescatore. - Io non capisco… sto forse diventando pazza?
- No, no - la rassicurò lui. - C'è una spiegazione razionale, per tutto questo…
Davanti allo sguardo ansioso e supplice di lei, ancora una volta il giornalista esitò, interrogandosi su quanto poteva dire a quella fanciulla che il caso aveva messo sulla sua strada.
- Il… il naufrago che sto cercando - si risolse a spiegare - è un pericoloso criminale, proprio come lei aveva ipotizzato. È uno spietato assassino e… possiede una diabolica capacità di camuffarsi.
- Dunque… è lui che ho visto questa mattina!
Senza rispondere, Junio raccolse il badile e ricominciò a scavare.
- Deve esserci anche il corpo di Du' Denti. Ghiozzo non sarebbe mai rimasto a far la guardia ad un estraneo.
Anya fece un cenno affermativo con la testa.
L'avventura mille volte sognata adesso era lì, intorno a lei, l'avvolgeva, minacciando di soffocarla. Come tutto era diverso rispetto ai parti della sua immaginazione! In quella sudicia stanza la morte, tragica componente di molte sue fantasie, non aveva nulla di romantico o di esaltante. Non colpiva personaggi immaginari, ma esseri umani reali, persone che lei conosceva, trasformandoli in corpi gelidi, lividi, che mandavano un odore nauseante. Ancora più agghiacciante era il pensiero che il colpevole di quegli efferati assassinii la sera prima sedesse in giardino con la sua famiglia a bere limonata. Avrebbe potuto uccidere suo padre, sua madre… lei stessa!
- Tombola - disse il giornalista. La ragazza si scosse dai suoi pensieri e si rialzò. Nella fossa, il cadavere del pescatore giaceva vicino a quello dell'ufficiale in pensione, ad una profondità solo di poco maggiore. Junio si girò verso di lei a chiedere conferma dell'identità del morto. Il suo sguardo silenzioso fu una risposta sufficiente.
- E così i conti tornano - commentò amaramente il giovane.
- Che bisogno aveva di ucciderli? - domandò la fanciulla con voce tremante.
- Quel criminale ammazza anche solo per il piacere di farlo… ma questi li ha fatti fuori per prendere il loro posto. Aveva bisogno di una nuova identità. Prima è toccato al povero Du' Denti che probabilmente l'aveva raccolto in mare dopo il naufragio… ma un pescatore, per giunta un po' tocco, non era certo la copertura ideale, per lui! Quel colonnello deve essergli sembrato decisamente più interessante… con più soldi… ed una maggiore libertà di movimento.
- Santo cielo, ne parla… come se si trattasse della scelta di vestiti nuovi!
- Per lui è così. So che è spaventoso, ma…
La ragazza tornò a sedersi.
- Comunque ha ragione, sul suo bisogno di libertà di movimento. Stamani, quando l'ho incontrato, il colonn… cioè, quell'individuo, aveva una valigia. Ha detto che andava a Livorno per affari…
- Sì, è logico. In una città gli sarà più facile far perdere le sue tracce. Dovrò ricominciare da lì, a seguire la sua pista… anche se non sarà facile. A quest’ora potrebbe aver già cambiato di nuovo identità. Se almeno sapessi a cosa mira…
- Aspetti! - esclamò la fanciulla schizzando in piedi ed afferrando un polso del giovane, che la guardò come se fosse impazzita. - Forse c’è qualcosa che può aver attirato il suo interesse… i gioielli dell'armatore!
Lui continuava a fissarla senza capire. Anya raccontò del prossimo arrivo del ricco Jean-Michel Dutroux nel capoluogo e dell'interesse dimostrato dal finto colonnello Despotti per il contenuto della cassaforte sullo yacht.
- Accidenti! Ha ragione… può essere quello il suo obiettivo! Devo arrivare dall’armatore prima di lui, e forse riusciremo a tendergli una trappola.
Negli occhi del giornalista brillava una feroce determinazione.
- Non è più semplice denunciarlo ai carabinieri e farlo arrestare?
- I carabinieri? - Sulla fronte di Junio erano riapparse piccole rughe. Tacque per un lungo istante. - No, niente carabinieri - disse poi come se espirasse aria trattenuta troppo a lungo nei polmoni. - Non riuscirebbero a fermarlo! È un demonio! Loro non lo conoscono… e poi, come ho detto, potrebbe aver già assunto un’altra identità.
- Un demonio? Ma chi è, dunque? Cos'ha fatto?
Il giovane fissò la ragazza negli occhi, come se volesse studiarla a fondo prima di decidere, ancora una volta, quanto poteva raccontarle.
- Nessuno sa da dove viene, e neppure quale sia la sua nazionalità. Si fa chiamare Da’arkil’ah…
- Darkiller? - tradusse automaticamente Anya in una delle tre lingue che conosceva. - Significa… l’Oscuro Assassino, vero?
- Già - confermò Junio, felice di quella fortunata assonanza.
- Ma se è così pericoloso… come spera di riuscire a catturarlo lei, da solo?
- L'ho già fatto una volta, e solo la fatalità gli ha permesso di tornare libero.
- Lei… lei l'aveva arrestato? Ma chi è, dunque? Il giornalista che ha detto… od un poliziotto? Cosa mi nasconde?
- Non mi chieda più di quello che le ho già detto. Sapere troppo potrebbe essere pericoloso: quel criminale non ha l'abitudine di lasciarsi dietro testimoni… l'ha visto!
Gli occhi della fanciulla corsero ai due corpi stesi nella fossa.
- Crede che il francese le darà ascolto? - chiese poi.
- Se non lo farà, dovrò trovare il modo di preparare da solo la mia trappola. Conosco un po’ il modus operandi di quel criminale, ed ho più possibilità di chiunque altro di indovinare i suoi piani ed aspettarlo al varco. Quando l'avrò preso… se si farà prendere vivo… allora chiamerò i carabinieri.
Anya se ne stava a testa bassa, confusa, timorosa.
- Deve avere fiducia in me - disse il giovane con tono accorato prendendole le mani tra le sue. - Quando tutto sarà finito, le spiegherò ogni cosa. È una promessa.
Si girò e raccolse il badile: - Ma ora dobbiamo seppellire di nuovo questi poveretti. Se li scoprissero troppo presto, la notizia arriverebbe in fretta anche a Livorno, e quel demonio moltiplicherebbe le precauzioni. Finché è sicuro di sé, invece, è più probabile che commetta qualche imprudenza. La prego - aggiunse mettendosi a spalare di nuovo sui due corpi la terra rimossa - controlli che non arrivi nessuno.
La ragazza restò ad osservarlo per pochi istanti, poi uscì docilmente e si appoggiò con noncuranza ad un angolo della baracca come se atten-desse il pescatore. Da lì poteva vedere chiunque si avvicinasse da terra.
Un quarto d’ora più tardi il sedicente giornalista uscì dal tugurio riaccostando la porta dietro di sé e, senza profferire parola, andò a riporre la vanga nel capanno degli attrezzi.
- Andiamo - disse poi prendendo per un polso Anya. - Meglio non attirare l’attenzione più del necessario!
- Ma il povero Ghiozzo! - protestò debolmente lei. - Si lascerà morire di fame sulla tomba del padrone, se non lo portiamo via.
- Se anche ci riuscisse, e ne dubito, la cosa farebbe nascere troppe domande, in paese! Almeno per il momento dobbiamo lasciarlo qui.
I due giovani camminarono per un tratto in silenzio, ciascuno immerso nei propri pensieri.
- Ha detto che anche i suoi genitori sono stati invitati alla festa in albergo… - disse ad un tratto Junio riemergendo dalle sue riflessioni.
- Sì… ed anche alla crociera sullo yacht.
- Avrei preferito saperla al sicuro qui in paese.
Anya sentì un tuffo al cuore. Si stava preoccupando per lei?
- Invece sembra che non potrà liberarsi troppo presto di me - scherzò.
- In un’altra situazione, non l’avrei mai desiderato - ribatté lui serio.
La ragazza non riuscì a impedirsi di arrossire violentemente. Proseguirono in silenzio fino alle prime case del paese, poi il giovane si congedò dalla ragazza: - Devo andare alla pensione, fare i bagagli e correre alla stazione. Probabilmente ci rivedremo all’albergo. - Le prese di nuovo le mani nelle sue. - Mi raccomando… sia prudente.
- Dopo quello che ho visto stamani - la fanciulla non riuscì a trattenere un brivido - sarebbe difficile fare diversamente.
Restò qualche istante a guardarlo mentre si allontanava quasi di corsa, poi volse i suoi passi verso casa. Sentimenti forti e contrastanti s’agitavano confusamente nel suo animo. Il turbamento ancora indefinito ma già prepotente che Junio - Junio! - le suscitava in petto, man mano che si allontanava dal giovane lasciava il posto all’orrore in cui era stata precipitata suo malgrado e che, fin lì tenuto sotto controllo, ora s’insinuava in lei serrandole ogni istante di più il cuore con dita di ghiaccio.

Vedendo arrivare la ragazza, il giovane spegne il manu-lector.
- Ti disturbo? - domanda lei.
- No. Ho appena finito il capitolo.
- Ti va una mano di virtuapoker? - propone Jeampot alla nuova arrivata dalle cuccette vicine.
- No, grazie - risponde Kish. - Non voglio ripulirvi le tasche.
- La trrragedia è che non scherrrza - chiosa il viszurrriano mentre lei torna a rivolgersi all'ospite.
- Hai voglia di… visitare il sub-spatier?
- Sì, certo - dice lui buttando giù le gambe dalla brandina e rimettendo il lettore nello zainetto.
- Non che ci sia molto da vedere - si schermisce Kish - ma ormai siamo nel lektus che in poche ore ci porterà a destinazione e, come comandante, non ho altro da fare!
Mentre escono dall’angusto comparto lei fa un gesto vago in quella direzione.
- La zona delle cuccette ormai la conosci. È situata nella parte centrale del sub-spatier… il più lontano possibile dai motori, che stanno a prua e a poppa.
- E… a cosa servono un motore davanti e uno dietro?
- A volte… uh… servono! - dice lei con un mezzo sorriso. Poi davanti allo sguardo perplesso di lui, aggiunge: - Va bene… in fondo è proprio di questo che ti volevo parlare! Vedi, il nostro sub-spatier, che ufficialmente si chiama Æquus e trasporta materiali per conto terzi, nei ritagli di tempo si… trasforma e, col nome di Seattle, ci serve per fare dei lavoretti… non esattamente legali!
Il giovane aggrotta un sopracciglio.
- Non pensare al peggio! Non siamo né contrabbandieri, né pirati. Ci piace definirci… Pirati Sociali!
- Rekto! So di cosa stai parlando… seguo i notiziari e, oltre ai romanzi, leggo anche saggistica… sociologia, economia e politica, soprattutto! Siete un gruppo di oppositori…
- Sì… diciamo che non ci piace quello che fanno le multiplanetarie! Siamo contrari all'universalizzazione dei commerci intesa come mancanza di regole che va a tutto vantaggio dei più forti!
Serge fa un cenno affermativo con la testa: - Pienamente d'accordo!
- Davvero? - un sorriso interiore illumina gli occhi di Kish.
- Certo… il nostro modo di vivere genera troppa ingiustizia! I mondi ricchi lo diventano sempre di più a spese dell'Universo Sofferente…
- Esatto. Purtroppo noi non abbiamo la forza per arrestare questo processo perverso, così cerchiamo almeno di far scoppiare le contraddizioni del Sistema ogni volta che è possibile! - La ragazza si stringe le spalle nelle mani. - Non tanto spesso quanto mi piacerebbe, in realtà! Tra un'occasione e l'altra facciamo comunque regolari trasporti gratuiti per aziende del Commercio Equo e Solidale. Tenendo i costi di gestione al minimo, ogni due o tre viaggi riusciamo ad accantonare unicrediti sufficienti per pagarcene un altro a favore di aziende dell'Universo Sofferente…
- È una scelta ammirevole.
- Grazie… e, come ti dicevo, quando capita diamo una mano ai vari gruppi di opposizione non violenta e alle Stazioni Sociali…
Il giovane annuisce con un sorriso. Sì, Kish e i suoi scombinati compagni sono proprio tipi da Stazione Sociale. Serge non ha mai messo piede su uno di quegli agglomerati di metallo e plastobarite che girano nello spazio, ma come tutti ne ha sentito parlare. Sul finire del secolo precedente, aperta la via del sub-spatium, le stazioni spaziali fin lì usate come teste di ponte per l'esplorazione delle stelle con metodi tradizionali erano state abbandonate quasi tutte. Emarginati e gruppi di opposizione non violenta al Sistema le avevano subito occupate: Spazianarchici, Movimenti di Autoemarginazione, Amazzonichiliste, Neofricchettoni, Separatisti Maschi, Sciamani Isolazionisti, Sessoliberisti, Marxisti-Marzianisti, Tossicodivertenti...
Nelle mani dei nuovi occupanti, provenienti in egual misura dai pianeti ricchi e dall'Universo Sofferente, quelle strutture divenute inutili si erano trasformate in sedi di sperimentazione sociale, subito ribattezzate Stazioni Sociali dagli uni-media. Piano piano, alle costruzioni iniziali erano stati aggiunti nuovi moduli che le avevano trasformate in modo caotico ma abbastanza funzionale in piccoli mondi più o meno autosufficienti dove si fa artigianato interplanetario, musica ultratronica, psicocinema, e si praticano agricolture alternative. Su di esse hanno anche stabilito la loro sede le principali società di Commercio Equo e Solidale, e molti movimenti di opposizione al processo di universalizzazione dell'economia. Le multiplanetarie, bersaglio principale delle varie forme di contestazione messe in atto dagli anti-universalisti, a volte tollerano i loro attacchi. In altri casi, se messe troppo sotto pressione, spediscono gli uomini dei propri eserciti privati a compiere rappresaglie contro le basi degli antagonisti più radicali. Tre anni prima una Stazione Sociale era stata fatta addirittura esplodere, uccidendo tutti gli occupanti. Anche se la Polizia Interplanetaria, dotata di pochi mezzi e spesso asservita agli interessi delle grandi imprese, aveva chiuso il caso senza riuscire a individuare alcun colpevole, la strage era stata attribuita coram populo agli uomini della Robur-X, la più grossa produttrice multiplanetaria di ss-carburante.
- Comunque, non siete ecoterroristi - dice il francese.
- No - lo rassicura la ragazza. - Al massimo arriviamo a forme limitate di sabotaggio… come stavolta. Quando ti abbiamo raccolto, stavamo tornando da un'azione dimostrativa contro una navis-fabrika organizzata da quelli di Viridis Spatium… parlo di Jeampot e dei suoi compagni.
- Cos'hanno combinato?
- Un gruppo ha messo un telo protettivo sull'ultima mermoian del gruppo, quella che di solito viene attaccata dai balenieri… mentre Jeampot e Tassra, il mio esperto informatico, hanno abbordato la navis-fabrika e infilato una serie di piccoli virus nel sistema che controlla il funzionamento di tutta la nave. Nel giro di mezz'ora dovrebbe aver mandato in tilt il novanta per cento dei loro computer, bloccando di fatto ogni attività a bordo! Forse non saremo riusciti a impedire l'uccisione di quella povera creatura, ma di sicuro le riparazioni gli costeranno più di quello che ricaveranno dalla loro preda!
- L'idea è di colpirli nel portafogli, se ho capito bene!
- Sì, ce la prendiamo sempre e solo con le cose, mai con le persone. Possibilmente prendiamo a bersaglio le casseforti delle multiplanetarie. È l'unico modo di far loro del male.
- Ma danneggiare economicamente un'impresa, a volte, significa spingerla a licenziare. Non è un modo... trasversale per far comunque del male a gente che non ha nessuna colpa?
- Storie! Qualcuno forse si preoccupa quando quei bastardi licenziano migliaia o milioni di dipendenti solo per far salire il valore dei loro schifosi titoli in Borsa? E, in ogni caso, mi sembra giusto che chi collabora con le multiplanetarie, oltre ai vantaggi, ne condivida i rischi.
- Mah… io ho sempre qualche difficoltà a capire dove sia il confine tra giusto e sbagliato, in cose del genere. Forse è per questo che non sono mai riuscito a decidermi a fare qualcosa più di una manifestazione o la firma su una petizione! Tu credi sia davvero possibile opporsi con qualche efficacia a un processo che muove ed è mosso da interessi tanto vasti?
- Mi chiamano Kish, no? - sorride lei con una smorfia autoironica. - Beh, comunque… volevo chiederti di non nominare l’Æquus, quando dovrai raccontare come sei stato raccolto.
- Già. Secondo Jeampot gli Uni-media faranno a gara per avere le mie memorie!
- Sono le regole del gioco. Se dirai di essere stato raccolto dal Seattle e scaricato su Altermundus, ci risparmierai di dover giustificare la presenza del nostro sub-spatier ufficiale in un lektus non contemplato nella nostra rotta!
- Cos’è Altermundus? Una Stazione Sociale?
- Sì… abbiamo molti clienti, lì sopra. È quasi la nostra base ufficiale.
- D’accordo, non ti preoccupare… non ho mai visto l’Æquus in vita mia, e i miei salvatori indossavano tutti dei passamontagna! Ma… al sotto-spazioporto dei vostri amici non registrano attracchi e partenze?
- In modo molto… discrezionale. A quello penso io - dice la ragazza riprendendo il giro turistico. Arrivati nella sala comando, si fermano accanto al secondo pilota.
- Sai come funziona un sub-spatier? - domanda Kish.
- Ne ho un’idea molto vaga.
- Beh, in pratica somiglia più a un sommergibile terrestre che ai vascelli spaziali dei romanzi di fantascienza dei secoli scorsi.
Dalla sua postazione, Tassra fa un cenno al comandante: - Kish, scusa...
- Arrivo! Drrr’olz, spiega tu a Serge come funziona la nostra carretta.
- Vai trrranquilla.
La giovane raggiunge l’informatico.
- Dimmi.
- Eee… sai che quando ci capita l'occasione di mettere le mani sui programmi di altri vascelli li scarico per aggiornare i nostri computer. L’ho fatto anche con l’ovulus dell’Itinerus III e… beh, c’è una cosa strana!
- Cioè?
- Per abitudine scarico tutto, anche nel caso di programmi di cui abbiamo una versione più aggiornata, e faccio girare il mio solito programmino di confronto “célo-manca” per vedere cosa andrebbe perso nel cambio o se c’è qualcosa di utile da recuperare nella versione più vecchia. Coi programmi di mappatura sotto-spaziale non ce ne sarebbe bisogno perché si limitano ad aggiungere le nuove registrazioni, così basta caricare la copia più aggiornata. L’Hodierna Mappæ ce l’aveva passato nuovo nuovo l’altro giorno Jeampot salendo a bordo, e… beh, per farla corta, dalla verifica è saltato fuori che il pianeta registrato col codice H.LL551.TE nel nostro programma ha certe coordinate sotto-spaziali, mentre in quello dell’ovulus ne ha altre!
- Strano, in effetti. È sicuramente un errore... anche se non capisco come sia successo, se hai detto che si limitano ad aggiungere i nuovi pianeti registrati. Comunque è una bella vergogna, con quello che fanno pagare quel programma!
- A chi lo paga - chiosa l’asimyano senza l'accenno di un sorriso. - Per ogni evenienza, ti ho fatto una copia dei due file - aggiunge porgendo al comandante una sfera-dati.
- Okay, grazie. Ci darò un'occhiata.
Kish infila la pallina nell’apposito taschino della cintura portatutto e torna da Serge, ancora impegnato ad ascoltare le spiegazioni di Drrr’olz.
- …generalmente si muovono grazie a semplici eliche, proprio come i sommergibili di una volta, e per cambiare direzione usano appositi timoni orizzontali e verticali. Le navis più grandi sono munite anche di grossi ugelli direzionabili che emettono getti di aria compressa…
- …una materia che richiede spazio… e denaro - interviene la ragazza. - Due cose che qui sopra scarseggiano. Ci possiamo permettere solo quella che serve per il lancio dei siluri.
- Avete siluri a bordo?
- Per difenderci. Finora non ne abbiamo avuto bisogno, ma non si sa mai. Qualche pirata particolarmente sfigato potrebbe decidere che anche questa carretta è una preda appetibile…
Il terrestre sorride. Segue un lungo attimo di silenzio, interrotto da Kish.
- Riprendiamo il nostro tour? Vieni, ti faccio vedere la stiva e una delle due sale motori.
- Non mi hai ancora spiegato perché ne avete due - ricorda Serge mentre si avviano. Lei gli spiega quello che ha già detto a Jeampot e gli racconta come grazie alla sua idea siano sfuggiti al mezzo da combattimento della navis-fabrika.
I due raggiungono una porticina a metà corridoio che immette in un locale vuoto. Rispetto agli spazi angusti del resto del mezzo sotto-spaziale, sembra vastissimo anche se in realtà non misura più di quattro metri per tre. Due kokkraniani, occupati a lucidare ganci, catene e scaffalature, sembrano non accorgersi nemmeno dei due terrestri.
- Come vedi, non possiamo caricare merci troppo voluminose. Di solito trasportiamo prodotti d’artigianato, cibi solidali, medicinali, piccoli pezzi meccanici ed elettronici, parti di ricambio…
Percorso l’ultimo tratto di corridoio, i due raggiungono un ampio locale a poppavia da cui proviene un ronzio continuo. All’interno due “teste a cipolla” stanno finendo di agganciare a un vasto e complesso macchinario la grossa capsula di carburante che Serge aveva visto trasportare. Senza dire niente, raccolgono quella vuota che hanno tolto e si allontanano infilandosi sgraziatamente nello stretto vano della porta.
- Grandi lavoratori, eh? - commenta con un sorriso il francese osservandoli sparire oltre l’angolo.
- Le teste a cipolla, come le chiami tu, non possono stare ferme. Quando non c’è lavoro, puliscono, riordinano, controllano il funziona-mento di motori e macchinari… se riusciamo a mantenere una certa vivi-bilità dentro questo scatolone di latta lo dobbiamo in gran parte a loro.
- Una manna, per un datore di lavoro!
- Beh, intanto qui non ci sono padroni. La nostra è una cooperativa… e anche il mio titolo di comandante è solo una necessità tecnica. Comunque anche i kokkraniani hanno i loro lati negativi. Il più importante è che periodicamente, quando la loro femmina va in calore, siamo costretti a riaccompagnarli di corsa sul loro pianeta, anche se fossimo nel bel mezzo di una consegna urgente! Questo può costarci penali abbastanza salate, ma è una clausola imprescindibile del loro contratto. Non possono resistere in alcun modo al richiamo sessuale…
- E come sanno che la femmina è in calore? Il loro solito misterioso modo di comunicare?
- No, non credo che funzioni anche a grandi distanze. Probabilmente è una specie di orologio biologico che condividono con la femmina della covata o…
Una chiamata attraverso uno degli altoparlanti dell'intersonus impedisce a Kish di esporre ulteriori ipotesi.