mercoledì 4 maggio 2022

Luca Boschi come lo conoscevo


Non ricordo quando e come ci siamo conosciuti. Troppo tempo è passato e troppe esperienze abbiamo condiviso nel frattempo.
Di sicuro era con me, Paolo Di Pietrantonio e Stefano Casini nel gruppo di coraggiosi che negli anni ottanta provò a portare in edicola, con tanta voglia di fare e pochissimi soldi, una rivista a fumetti (ne parlo anche qui). Lui contribuì con le parodie "Enciclopedia Gions e lo zufolo di Keraness" e "Tyrus P. I.", entrambe su testi di Renzo Sciutto.
















Poi ci siamo ritrovati in cento occasioni, progetti, fiere, convegni, incontri e pure per lavorare a una proposta di cartone animato. Io mi sono trovato fuori dopo pochi incontri: da fumettista, non sopportavo i tempi lunghi necessari per calibrare il progetto (che poi era quello, un po' triste, di fare una serie simil-Winx che in quel periodo andavano alla grande). Non ho mai saputo se poi la cosa è andata avanti o no.
Luca Boschi (come per Pini Segna, penso a lui con nome e cognome, inseparabili) era con me anche quando insieme ad altri abbiamo fondato l'Associazione Fumettisti (presto naufragata pur essa). D'altronde, era stato uno dei primi a occuparsi dei diritti dei fumettisti sull'Urlo e in ogni altro spazio utilizzabile. Per me, un faro nelle nebbie della professione di quegli anni.


Per un'altra idea balzana, quella di metter su insieme un sito capace di fruttare guadagni, ero tornato per la seconda o terza volta a casa sua a Pistoia. Il suo "studio", un appartamento a piano terra vicino a quello in cui abitavano i suoi genitori, era un caos totale di fumetti stipati in librerie e ammucchiati in ogni dove. Su un grandissimo tavolo giacevano accatastati quintali di albi di ogni genere, con prevalenza di "giornalini" degli anni cinquanta e sessanta che amava moltissimo e ai quali ha fatto in tempo a dedicare almeno un volume ("Italia ride", pubblicato da Anafi), ma altri dieci ne avrebbe potuti scrivere, tale era la sua conoscenza di quei personaggi perlopiù dimenticati: i Cucciolo, Tiramolla, Bombolo, Oscar, Miciolino, LupettinoBingo, Soldino coi quali ero cresciuto anch'io. E se capitava di citarne uno, tuffava le mani in quel marasma e nove volte su dieci riusciva a pescarlo al primo colpo. Non posso fare a meno di immaginarmelo, diventato un Lucaboschi a fumetti, tuffarsi lì in mezzo come Paperon de' Paperoni tra le monete del suo deposito.


Luca Boschi era una persona tranquilla, pacata, quasi dimessa in mezzo a noi esagitati fumettisti arrembanti e caciaroni. Sempre gentile, sorridente, pronto a fermarsi per chiacchierare della nostra passione per il fumetto e mettere insieme idee e progetti, e pure spettegolare un po' sui protagonisti dell'ambiente che conosceva dal primo all'ultimo. Eppure, con quel fare quasi umile, era un vulcano sempre attivo: sceneggiatore, disegnatore, giornalista, critico, saggista, curatore di collane, direttore artistico di eventi di livello nazionale come Lucca Comics o il Comicon di Napoli e chissà quante altre cose.







Alle fiere era impossibile dargli un appuntamento: anche se lo vedevi a cento metri da te, sapevi che per percorrere quello spazio gli sarebbero occorse ore, visto che a ogni passo incontrava altri amici, colleghi, lettori e appassionati e con tutti si fermava a parlare regalando sorrisi e perle di conoscenza. Perché ne aveva a vagoni. Sulla Disney, sui citati "giornalini" ma anche sul fumetto statunitense, francese e argentino. Una volta eravamo andati insieme con la mia auto a una fiera dell'Anafi a Reggio Emilia. Avevamo stabilito di ritrovarci a uno stand a un'ora precisa per tornare indietro. Hai voglia ad aspettare! Alla fine fui costretto a sguinzagliargli dietro mia figlia: i bambini, gioia del mondo, sanno essere dei cani da pastore implacabili, e infatti me lo ricondusse in cinque minuti. Qualunque adulto avesse provato a richiamarlo all'ordine avrebbe sprecato il fiato.
Ero convinto che tra noi ci fosse un rapporto di amicizia speciale... finché non ho capito che ce l'aveva praticamente con tutti e tutte. E che l'unica cosa speciale era lui, attorno a cui ruotavamo attratti dal magnetismo della sua sconfinata sapienza fumettistica (e non solo) e dell'infinita gentilezza.
Sapevo da qualche anno che combatteva contro non so quale aggressiva forma di tumore, ed ero stato felice di incontrarlo all'ultima Lucca Collezionando prima che la pandemia ci rinchiudesse tutti in casa. Era provato, ma sembrava aver superato il peggio e poter guardare con qualche fiducia all'avvenire.



Ero felice di sapere che, dopo il monumentale lavoro di pubblicazione di tutto il Popeye segariano nella collana di collaterali della Gazzetta dello Sport, (dove si era divertito a infilare anche il mio nome in una strip) era al lavoro per la riproposta del Braccio di Ferro italiano sulla collana della Cosmo.



Un paio di giorni fa avevo pensato di mandargli un'email per sapere come stava, poi per un lutto in famiglia ho dovuto pensare ad altro, e ieri mattina Stefano Casini mi ha dato la terribile notizia della sua scomparsa.
Da ateo, non immagino sue rimpatriate celesti con gli autori amati e amici e colleghi che ci hanno lasciato prima di lui. Riesco solo a pensare a tutti quei giornalini sul tavolo, rimasti orfani - come noi - della sua passione e della sua grande conoscenza.