martedì 18 aprile 2023

Come faceva Evangelisti


Ho conosciuto Valerio Evangelisti a Perugia, nel corso di non so quale edizione di Umbria Comics.
Avevo letto su Urania il suo romanzo "Nicolas Eymerich, inquisitore", e durante l'incontro col pubblico gli dissi che mi aveva tenuto incollato dalla prima all'ultima pagina e che a volte quando cambiava scenario (quel libro e anche i successivi si svolgevano in due-tre differenti ambientazioni spazio-temporali) mi ero trovato, tanta era la suspence che riusciva a creare, a saltare più avanti al capitolo in cui la situazione continuava/si risolveva, e gli chiesi come riusciva a farlo.


Mi spiegò che era un "metodo" narrativo non certo inventato da lui. Mi resi conto che era solo decisamente bravo a interrompere la narrazione nel momento in cui il lettore stava più col fiato sospeso, e che il modulo della vicenda una-e-trina a cui era stato in parte costretto dalle richieste della redazione del periodico mondadoriano lo aiutava molto in questo "trucco".
Quando, qualche anno più tardi, mi avventurai nella scrittura del mio primo romanzo, "S'i' fosse Morte", cercai di attenermi il più possibile alla modalità usata da Evangelisti interrompendo le scene/i capitoli nei momenti di maggiore pathos e curiosità, riuscendoci in parte.




Credo di aver fatto meglio con la mia seconda opera, "Il pianeta scomparso". Specialmente da quando si entra nel vivo dell'azione, col tentativo da parte di due sicari di far fuori il protagonista, ogni volta che una situazione sembrava volgere al peggio ho sospeso la narrazione passando a seguire quello che succedeva altrove/ad altri personaggi. Mi ha aiutato anche la presenza del romanzo-nel-romanzo "Darkiller".


Così, in questi giorni, rileggendo la storia in vista di una ripubblicazione dell'opera per i tipi delle mie Edizioni Foxtrot a caccia di refusi (ne ho trovati quattro o cinque, due scovati a suo tempo da mio figlio leggendo il libro), sono rimasto abbastanza soddisfatto verificando il sostenuto ritmo della narrazione con un buon numero di cliffhanger a tenere attaccato il lettore. Sono stato anche contento di vedere che ha retto bene alla prova del tempo. Quando l'avevo scritta, nei primi anni del nuovo millennio, la tecnologia non era ancora evoluta come oggi e io ero digiuno di buona parte del funzionamento di quella esistente. Mi ero appoggiato ai pochi romanzi letti su Urania in cui si cominciavano a usare computer e internet come componenti importanti della storia, e per i dubbi tecnici rimanenti avevo chiesto l'aiuto dell'amico programmatore Daniele.


Per tutto questo, mi fa molto piacere, dopo l'esaurito tecnico della prima edizione e i ripetuti apprezzamenti ricevuti dai lettori, riportare "Il pianeta scomparso" su Amazon proprio nel mese del triste anniversario della morte di Evangelisti, verso il quale io e il mio lavoro saremo sempre grati debitori.     




lunedì 17 aprile 2023

Pinocchio?


Mentre procedo con la scrittura e il disegno del Pinocchio a strisce umoristiche a cui sto lavorando, continuo a interessarmi alle varie versioni dell'opera che sono state realizzate nei vari media.
Ieri ho finalmente guardato anche il film d'animazione di Guillermo Del Toro.
Premetto che questa non è una recensione, ma solo l'insieme delle mie personalissime impressioni. Consapevole che in questo senso la valutazione di un'opera dipende sostanzialmente da cosa ci si aspetta di trovarci, devo dire che non mi è piaciuto granché.
Del Toro ha preso ben poco dal libro di Collodi: il protagonista, Geppetto e il Grillo Parlante. Stravolti tutti e tre per trarne una storia tra horror e messaggio politico.
Pinocchio, che resta "nudo" dall'inizio alla fine e al quale il naso si allunga ramificandosi, riesce simpatico ma non è l'originale, irriducibile "ribelle" monello e curioso. Fin da subito mette la testa a posto e ha l'unico scopo di cercare di aiutare il suo babbo-creatore per riguadagnarne l'amore.


Nel film, realizzato in stop motion, il design di Geppetto lo fa apparire più legnoso della sua creatura; devastato dal lutto, dedito all'alcol, è un individuo malato capace di vendere l'anima al demonio della sua ossessione per ritrovare il figlio perduto.


Il Grillo Parlante, aspirante scrittore (e incongruamente continua a scrivere anche dopo la propria morte, per raccontare la fine della storia) è diventato "l'abitante" di Pinocchio, al cui interno vive in funzione di cuore-coscienza dopo la magia che ha dato vita al burattino.


Per il resto, la Volpe fa il lavoro di Mangiafuoco ma con cinismo capitalistico; il Pescecane è una creatura mal disegnata, bruttissima da vedere; Lucignolo è il figlio antimilitarista di un gerarca fascista e il Paese dei Balocchi è un'adunata di Balilla. Appare anche il Duce, nanizzato con intento dissacratorio forse per incarnare, con la statura fisica che nella realtà storica era appannaggio del re (non a caso soprannominato "Sciaboletta"), la bassezza morale del regime. Sì, perché la vicenda collodiana è stata spostata negli anni del Ventennio.
Come si vede, dal Pinocchio letterario Del Toro ha preso solo qualche idea delle tantissime partorite dall'autore, per mettere insieme un pamphlet animato antifascista totalmente fuori tempo e pacifista di maniera.
Ah, dimenticavo: il film si presenta come un musical, ma le quattro o cinque canzoncine sono del tutto dimenticabili e giustificate al massimo nel contesto delle esibizioni teatrali di Pinocchio.
Ovviamente ogni autore ha il diritto di far suo un testo nel passaggio ad altro medium (lo farò anch'io con le mie strip), ma qui sembra proprio che il regista messicano abbia usato il nome di Pinocchio solo per garantirsi un'attenzione che altrimenti il suo "messaggio", con differenti protagonisti che avrebbero tranquillamente retto la storia ma rivelato tutta la debolezza dell'opera, avrebbe rischiato di non ricevere.
Per me, dunque, questo Pinocchio che muore di continuo e ogni volta torna dalla morte, è un lavoro tutt'altro che epocale. Unica scelta che ho apprezzato: evitare la trasformazione finale in bambino.