mercoledì 16 ottobre 2013

Un bastian contrario di nome Luigi


























Mio suocero comprava tutti i giorni il quotidiano locale, il Tirreno. E non saltava mai la rubrica dei necrologi, per verificare chi, tra quanti conosceva, se n'era andato. A una certa età diventa un inevitabile inventario giornaliero legato a ricordi di una gioventù ormai lontana in tutti i sensi.
A quell'epoca, neppure tanti anni fa, questo bisogno di verificare di esserci ancora mentre il proprio mondo, un pezzetto per volta, se ne andava, passava per il filtro amichevole di quella rubrica giornalistica, appuntamento fisso e atteso. Oggi, nell'era dei social network imperanti, quelle informazioni ti arrivano addosso, tra un commento satirico e la foto di un adorabile gattino, quando meno te le aspetti.
Quando ho letto la notizia in un breve commento di Alessandro Di Virgilio il cervello mi è andato in tilt: cos'era, uno scherzo? Ho cercato conferma della notizia sulle pagine bolognesi di un quotidiano senza trovarne. Sulla voce di Wikipedia dedicata a Luigi se ne segnalava la scomparsa in data di oggi. Chi poteva aver fatto una segnalazione così tempestiva? Forse per allontanare la possibilità che quella assurda (e ingiusta: Luigi aveva solo 60 anni!) notizia trovasse conferma, ho anche ipotizzato che si trattasse d'una macabra trovata, magari architettata dallo stesso Bernardi. Ma col passare dei minuti la notizia veniva ripresa e rilanciata da tanti, e piano piano mi sono rassegnato ad accettarla.
Un'altra scomparsa pesante nel ristretto mondo del fumetto italiano, anche se lui ormai non lo frequentava molto, più preso dal suo percorso letterario.
Inevitabilmente il pensiero è corso ai ricordi comuni, agli incontri nella redazione milanese al tempo in cui era stato "acquistato" dalla Bonelli, alle visite nei suoi uffici della Granata Press quando editammo in joint venture la disgraziata Dark, alle chiacchiere sotto i portici di Bologna, alla sua espressione sbalordita quando, a una mitica (e mai più ripetuta) Lucca "dell'abbondanza" nel periodo in cui Dylan Dog aveva avvicinato al fumetto centinaia di migliaia di adolescenti, mi parlava degli incassi stratosferici appena fatti: " Questi ragazzetti arrivano, tirano fuori di tasca dei rotoli di banconote e comprano anche la merda!"
Invece non ricordo come, quando e perché ci siamo conosciuti diventando, non amici, ma un po' complici a distanza, forse perché entrambi bastian contrari sempre pronti a remare controcorrente quando ci pareva che certe scelte e certi comportamenti di colleghi e operatori del settore andassero contro l'interesse dello stesso mondo editoriale o semplicemente del buon senso.
Aveva tre anni meno di me, eppure mi sono sempre rivolto a lui aspettandomi un parola di saggezza che gli veniva dall'aver percorso, velocemente, già molte strade.
Ormai i nostri rapporti erano ridotti a qualche battuta o commento su Facebook, ma l'importante era saperlo sempre lì, pronto a dire la sua sulle molte cecità che ci circondano e, spesso, riguardano direttamente.
Non sarà facile farne a meno.

giovedì 10 ottobre 2013

Dottor Toninelli e Mister Zagor (ottava puntata)


Due diversi disegnatori, due vicende separate, ma un'unica storia. La mia prima "trasferta" zagoriana da sceneggiatore dello Spirito con la Scure.
Alla prima avventura, che vede il Nostro inseguire fino alla regione dei Grandi Laghi i rapitori di Cico, sono particolarmente legato. Forse perché è diversa da tutte le altre scritte sia da me che dai miei predecessori (e, probabilmente, anche dai miei successori), con il protagonista della serie coinvolto nientemeno che... in una partita!
Lo sport è il baggatiway, rude antenato dell'odierno lacrosse e, per certi versi, del tennis. Un gioco di squadra. E dunque apparentemente poco adatto a un eroe individuale come Zagor. Ma, in fondo, il Signore di Darkwood non è poi un combattente così solitario come potrebbe apparire a una prima impressione. Quantomeno, è abituato a "giocare in doppio" a fianco del compagno messicano, e poi in decine di storie ha saputo "fare squadra" con bianchi e pellerossa, all'occorrenza.
L'idea mi venne dalla lettura di uno dei tanti volumi di documentazione sul West che possedevo (e continuavo a comprare), "Indiani" di H. J. Stammel (SEI, Torino, 1978). Il libro riportava la cronaca di una battaglia, quella di Fort Michilimackinac, avvenuta esattamente come racconto nella mia storia, anche se nella realtà il trucco dei pellerossa (si trattava di una tribù di Chippewa) funzionò perfettamente e la guarnigione venne trucidata.
A dare corpo e vita alla mia creazione provvidero egregiamente un ispirato Franco Bignotti (sempre coadiuvato in punta di cesello dallo "sfondista" Gaetano D'Auria, credo), Gallieno Ferri che confezionò per quella storia una delle sue più belle copertine, e Luigi Corteggi che tirò fuori dal cilindro un altro dei suoi titoli dalla grafica efficacissima: quel "duello ai grandi laghi" insolitamente tutto minuscolo sembra voler sottolineare anch'esso la diversità della storia.
L'unica cosa che offusca la mia predilezione per quell'avventura, come alcuni dei miei lettori già sanno, è che in quell'occasione mi vidi "segare" da Canzio una lunga (e a mio parere riuscitissima) gag che vedeva Cico vivere una serie di disavventure travestito da squaw. Dell'abbondante trentina di pagine che avevo scritto, Decio salvò solo le sei o sette poi pubblicate, spiegandomi che nella nuova "economia" del personaggio situazioni umoristiche così lunghe non erano più permesse. Da quel momento il messicano, che della storia era per una volta pienamente coprotagonista al fianco di Zagor, ha avuto inevitabilmente minore "attenzione" da parte mia. Peccato, una volta di più, non aver conservato una copia della sceneggiatura delle pagine tagliate.



La seconda parte della "trasferta", che vede il ritorno dell'antico avversario Eskimo, mi "insegnò" un'altra cosa nei rapporti tra me e i responsabili redazionali. Quando andavo a discutere i soggetti presentati, ci trovavo scritti a margine i commenti di Sclavi e/o Canzio. Nelle prime storie si era sempre trattato di "correzioni" da apportare: questo non va bene, quest'altro va cambiato così, ecc.
In cima al soggetto de "L'imboscata" ricordo che Tiziano aveva scritto: "Bell'inizio!"
Abituato a trovare sui soggetti solo considerazioni "critiche", lessi quelle parole come un commento sarcastico. E replicai in tono offeso che a me sembrava che far assalire Zagor e Cico dagli indiani subito nelle prime pagine fosse una buona partenza che gettava immediatamente i protagonisti nel pieno dell'azione. Sclavi mi guardò come si guarda un cerebroleso e disse: "Infatti ho scritto che è un bell'inizio!"
Da quella meschina figura, che cercai di superare con un sorrisetto di scuse, appresi che i commenti redazionali sui soggetti potevano anche essere positivi.
Sulla vicenda di "Colui-che-non-muore" mi è capitato in passato di leggere in rete valutazioni negative, e anche lo "Zagor Index Illustrato" di Belardinelli-Palumbo-Priarone la qualifica addirittura come una delle mie "peggiori avventure". Probabilmente non è piaciuta la gestione di Eskimo trasformato in superuomo e lasciato ai margini della storia fino allo scontro finale. Faccio ammenda delle mie colpe. Non tutte le ciambelle possono riuscire col buco. Però, rileggendola a distanza di tanti anni, la vicenda mi pare comunque ben costruita, piacevole e con elementi di originalità (Zagor ridotto in schiavitù), e pure il temporaneo nuovo compagno d'avventure Carcassonne, più o meno simpatico che possa risultare, anche se è indubbiamente e in tutti i sensi un personaggio minore, mi sembra svolgere bene la sua funzione di contraltare psicologico dello Spirito con la Scure, opponendo il suo personale (e giustificato) desiderio di vendetta al più altruistico atteggiamento di Zagor vòlto a perseguire il bene comune. Ma ognuno è libero di valutare quello che legge secondo il suo gusto.
Ultima considerazione: come visto nel capitolo precedente, avevo l'abitudine di fornire ai disegnatori mappe, schizzi e disegni vari per facilitare il loro lavoro. Rivedendo le vignette verticali di pag. 226 del volume n. 86 e delle pagg. 107 e 178 del n. 87 della Collezione Storica a Colori, mi viene da pensare che i baldi Bignotti e Donatelli abbiano ricalcato pari pari (se non direttamente incollato in fotocopia) le mie mappe aggiungendo qualche effetto grafico per renderle più omogenee alle tavole disegnate: la grafia delle scritte somiglia in modo sospetto alla mia.
Se così fosse (e, d'altronde lo schema della spiegazione del mistero del tuffo nello strapiombo del Red Wolf Cliff, disegnato da Ferri e ristampato nel n. 83 della CSAC, ricalcava abbastanza fedelmente il mio, come si può vedere nel capitolo precedente) avrei dato alla serie anche un piccolissimo contributo grafico.

                                 


venerdì 4 ottobre 2013

Dottor Toninelli e Mister Zagor (settima puntata)



Sulla storia che si conclude questa settimana sulla Collezione Storica a Colori di Repubblica, quella che vede il ritorno di Timber Bill, non ho ricordi o riflessioni particolari da condividere, salvo forse il fatto che la riapparizione di Satko, ora che la rileggo, sembra già prefigurare in nuce quello sviluppo della serie in senso più continuistico-logistico che avevo ipotizzato per la serie prima di interrompere la mia decennale collaborazione con la Bonelli. Al termine di questi miei commenti, riproporrò su queste colonne il mio inaccettabile (e infatti inaccettato) progetto nella sua interezza.







Intanto mi prendo un po' di spazio per parlare ancora della vicenda di "Impresa disperata" e della sua genesi. Dopo aver "rivelato" come quell'avventura fosse nata da alcune pagine sceneggiate direttamente da Sergio Bonelli e da lui "regalatemi" perché continuassi la storia, ci sono stati alcuni scambi di battute in rete che mi hanno spinto ad andare a recuperare le mie due sceneggiature zagoriane rimaste inedite e a fare un'ulteriore, sorprendente scoperta.

Antonio Moro mi chiede sulla pagina Facebook di "Tutti quelli che desiderano una ristampa di Zagor per i suoi 50 anni": “...non puoi dirci qualcosa, caro Marcello, sulle sceneggiature inedite di Zagor che hai conservato?”
Ed ecco la mia risposta e i successivi interventi: “I titoli "di lavoro" (poi era la redazione a scegliere quelli definitivi) delle mie due sceneggiature inedite sono “Il segno di Wama” e “I crociati”. La prima credo che fosse una storia "normale" (ma dovrei rileggermela, per esserne certo) di genere fantastico, con un "cattivo" destinato a diventare una specie di Mefisto zagoriano; la seconda, scritta quando ormai avevo deciso di interrompere la collaborazione, l'avevo scritta provocatoriamente "all'americana", e immaginavo che non avrebbe mai visto la luce. In quest'ultima, come ho già scritto altrove, Cico finalmente faceva l'amore con una bella e giovane squaw.”
Antonio: “Accidenti cosa ci siamo persi! Storie che avrei avuto piacere di leggere! Peccato...”

Il giorno successivo io ho scritto: “Caro Antonio, grazie due volte per la tua domanda sulle mie sceneggiature inedite. Prima di tutto perché mi hai spinto a riprendere in mano quella del Segno di Wama di cui non ricordavo assolutamente nulla e a rileggerla. Giudizio (di parte): una gran bella storia, sicuramente più vicina allo Zagor di Bonelli padre che a quello di Sergio, un po' horror, un po' fantastica e con un pizzico di supereroico! Peccato che non vedrà mai la luce sulla collana. Ma, ora che grazie a te l'ho "riscoperta", chissà che non riesca ad adattarla per qualche altra operazione editoriale cambiando nome e look al personaggio. La seconda cosa per cui ti ringrazio (e, credo, con me tutto il fandom zagoriano) è che andando a riprendere quella sceneggiatura ho fatto una scoperta decisamente inattesa: insieme ai due blocchi di sceneggiatura c'era un mazzetto di fogli tenuti insieme con una graffetta. Sul primo c'era il soggetto appena abbozzato di "Un'impresa disperata" (nella mia proposta: "La tribù prigioniera"); sui successivi alcuni soggetti non accettati, una versione dettagliata del soggetto di cui sopra, le copie delle immagini "di documentazione" che avevo fornito a Ferri per la storia di cui stiamo parlando e, incredibile a dirsi, la lettera firmata (da chi? Forse da Sergio stesso, forse da Canzio o Sclavi... non sono riuscito a identificare la firma) che accompagnava le prime pagine scritte da Bonelli con la richiesta di continuare la storia e (udite! udite!) il soggetto abbozzato di come avrebbe voluto continuarla Sergio (una storia completamente diversa da quella che poi ho scritto io: c'era anche il ritorno di Digging Bill)! Ti rendi conto? Un piccolo pezzo di storia editoriale che mi ero assolutamente dimenticato di possedere e che senza il tuo commento qui sopra avrebbe dormito in un raccoglitore per chissà quanti anni ancora!”
A questo punto interviene Alex Principato: “Incredibile! esiste quindi in qualche modo ancora un soggetto di Nolitta! Sarebbe bellissimo se da quel soggetto si arrivasse a una storia completa...”



Naturalmente, nei giorni successivi ho continuato a scervellarmi sulla firma in calce alla lettera contenente il “soggetto perduto”. Sono andato a cercare alcune lettere autografe di Bonelli, che però firmava “Sergio”, mentre la firma misteriosa terminava inequivocabilmente con una “i”. Essendo agli inizi dei nostri rapporti l'aveva firmata Bonelli? No, in ogni caso era impossibile leggerci il suo cognome. Scartato Decio Canzio, visto che sia il suo nome che il cognome terminano con una “o”, mi restava solo Sclavi... ma la firma non sembrava affatto contenere le lettere del suo cognome. Alla fine la verità, inevitabilmente la più banale, mi si è rivelata: avevo rimosso (et pour cause, direbbero i francesi!) che all'epoca c'era una quarta persona coinvolta nella gestione di soggetti e sceneggiature: Gianni Bono, attraverso la cui agenzia avevo iniziato il mio rapporto di collaborazione con la casa editrice di via Buonarroti. Tolto il velo della rimossione, la firma si è inequivocabilmente rivelata un "Gianni". E, con quella scoperta, è tornata anche la memoria: era stato proprio Bono a parlare con Bonelli, ad ascoltarne il "progetto" e a stendere quelle due cartelle per permettermi di raccogliere il testimone e proseguire la storia.
Il soggetto che preparai sulla base di quello ipotizzato a grandi linee da Sergio però non piacque a Canzio, che lo trovò troppo umoristico, "più adatto a Topolino che a Zagor" (col senno di poi, sapendo adesso che quella identica critica la muoveva Bonelli padre a Sergio, mi viene da ritenere che il mio lavoro fosse perfettamente nolittiano. Ma, evidentemente, non adatto allo Zagor più "eroico" di cui Decio teneva le redini all'epoca). Presentai dunque un diverso soggetto, quello della "tribù prigioniera" che arrivò poi alla stampa.
Dalla lettera di Gianni, come potete leggere nella parte iniziale che pubblico, si scopre anche che le prime dieci pagine della sceneggiatura di Bonelli erano già state disegnate da Gallieno Ferri, forse motivo in più a spingere Sergio a riprendere in mano quell'opera interrotta e a farla portare a compimento da me.
Non pubblico, ovviamente, il soggetto pensato da Bonelli per non togliere ai lettori il piacere della scoperta, se mai dovesse in qualche modo concretizzarsi il sogno di Alex.
Pubblico invece tutte le immagini di corredo che avevo inviato a Ferri per meglio "spiegare" la sceneggiatura. Sono sicuro che tutti ne riconoscerete almeno una.