lunedì 7 novembre 2022

Quando Tex era tutto sbagliato


Nelle more della realizzazione della parodia di Tex appena pubblicata su Amazon ho avuto modo di rileggere alcuni vecchi episodi del ranger creato da Gianluigi Bonelli e Aurelio Galleppini.
Piccola premessa: quando, più di vent'anni fa, mi sono trasferito dalla provincia di Milano tornando in Toscana (a Livorno, per l'esattezza), mi sono dovuto liberare di gran parte dei fumetti e libri che conservavo in cantina e in garage, visto che nell'appartamento che mi attendeva non avrei avuto né l'una né l'altro. Ho così venduto alla Borsa del Fumetto di Nessim Vaturi o regalato ad amici intere collezioni: riviste "d'autore", annate di Lanciostory e Skorpio e praticamente tutti gli albi bonelliani, con l'eccezione di quelli di Zagor, di Ken Parker, de La Storia del West di Gino D'Antonio e della collana Un Uomo un'Avventura. Negli anni successivi però, avendo in testa il progetto più o meno vago di fare un giorno una parodia a strisce umoristiche di Tex, tra ristampe in albo e volumi "collaterali" mi sono riprocurato le storie che più si prestavano alla presa in giro, cioè quelle che vedono il capo dei navajo scontrarsi con Mefisto e poi con suo figlio.


La rilettura, a distanza di tanti anni, ha evidenziato tutta una serie di "leggerezze" e veri e propri errori nella narrazione come nel disegno. Ne segnalo rapidamente qualcuno. Per quello che attiene ai testi, per esempio il vecchio Bonelli prima mette in scena una "strumentazione" abbastanza complicata per far sì che Mefisto possa "trasmettersi" a grande distanza, di fronte a Tex: una piattaforma di pietra nera sulla quale deve sdraiarsi un indiano Hualpai, posta davanti a un grande disco d'argento sostenuto da due grandi statue demoniache. Un po' di pagine più tardi, però, si scopre che tutto quell'ambaradan e soprattutto il tramite dell'indiano erano di fatto inutili, visto che al cattivone basta sollevare le braccia al cielo e invocare i custodi del tempo e le stelle nere degli ultimi cieli per riuscire a trasmettersi in prima persona davanti al suo nemico. Senza alcuna spiegazione, si passa... dalla trasmissione in studio a quella via satellite!



Nella seconda parte della vicenda fa assumere a Mefisto l'identità di un curatore che battezza dottor Anatas, cioè Satana al contrario. Ma siamo negli Stati Uniti, dove si parla inglese e il demonio viene chiamato Satan, senza la "a" finale dell'italiano. Il medicastro si sarebbe dunque dovuto chiamare dottor Natas (che suonava pure meglio)... se non fosse che all'epoca noi ragazzi avevamo ben poca dimestichezza con la lingua d'oltreoceano e avremmo rischiato di non capire il gioco di parole. 
Il disegnatore, da parte sua, ci presenta il villaggio dei navajo costituito da un insieme di tende caratteristiche delle popolazioni nomadi delle praterie e dotato di un bel totem tipico delle tribù stanziate sul Pacifico, come i Nootka e i Tlingit.


"Errori" del genere continuano anche nella successiva avventura con Yama che si svolge tra i seminole della Florida. Qui Galep ha avuto l'accortezza di mettere capanne di tipo differente per diversificare la tribù da quella di Aquila della Notte, ma ha sbagliato di nuovo disegnando capanne di corteccia d'albero caratteristiche delle popolazioni del Nord Est, e per il resto - oltre all'immancabile totem - disegna i pellerossa con gli stessi abiti dei navajo e il loro stregone così simile a quello di questi ultimi che mi sono accorto di averli disegnati, nella mia versione umoristica, praticamente uguali. Ben diversa l'attenzione per la documentazione di Sergio Toppi nel diciassettesimo volume di Un Uomo un'Avventura, "L'uomo delle paludi", e di D'Antonio e Lucio Filippucci nel ventiduesimo Texone "Seminoles", dove le capanne sono correttamente quelle aperte col tetto di fogliame sostenuto da pali, i costumi quelli caratteristici delle popolazioni di quei climi caldi e le imbarcazoni piroghe di legno a differenza di quelle, tipiche canoe, disegnate da Galleppini.



Chi ha letto fin qui queste righe si sarà fatto l'idea che si tratti di un post critico verso i due creatori di Tex. Tutto l'opposto! La mia intenzione è invece quella di sottolineare come, pure con strafalcioni di racconto e grossi errori di documentazione, spiegabili col fatto che all'epoca del Tex dei primi anni il concetto di West era molto vago e basato sui pochi film americani che arrivavano nei cinema e poi alla televisione, i due autori riuscissero a creare storie capaci di coinvolgere ed emozionare i giovani e meno giovani lettori con personaggi di grande impatto e intrecci originali, ricchi e trascinanti narrati con ritmo travolgente... e chi se ne frega di tutti gli sbagli seminati strada facendo nel testo come nel disegno!
È ovvio che questo era possibile quando i lettori non avevano ancora accumulato una tale mole di nozioni e immagini forniti da mille storie lette e viste sui fumetti come sul piccolo e grande schermo che, oggi, non consentono più di passare sopra a errori di documentazione e di scrittura, anche se l'attenzione ai dettagli rischia di far perdere quella beata e felice vena creativa che tante piacevoli letture ci ha regalato in passato.
Si stava meglio quando si stava peggio?


1 commento:

  1. Certo, non si notavano gli errori perché eravamo giovani, ingenui e non così bombardati da informazioni come adesso.
    In Bonelli come documentazione avevano qualche libro e i film visti al cinema.
    Ma si è perduta anche la "magia" della narrazione bonelliangalleppiniana.
    Negli anni 70 le pur poche vignette "weird" e horror con Mefisto/Aleister Crowley mi impressionavano, ora ho letto il ciclo del ritorno di Mefisto & family (padri, figli, sorelle e zie, i Dickart sembrano i Kennedy dell'orrore). Belle storie, ma sembrano episodi di Dampyr.
    Non fanno sgranare gli occhioni del bimbo che ero.

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