domenica 2 giugno 2019

Morire di fumetto


L'annuncio da parte di  François Schuiten del suo abbandono del fumetto ha riportato con forza sul tavolo della discussione il tema: è ancora possibile vivere di fumetto?
Se ne occupa, tra gli altri il sito francese ActuaLitté, cominciando a fornire qualche dato: ci informa che per il 2019, grazie all'uscita di un nuovo Asterix, si attende una buona "annata" per la BéDé, ma già il 2018 con 44 milioni di volumi venduti e un giro d'affari di 510 milioni di euro aveva registrato una crescita del 2,5%. Che non sia tutto oro quello che luccica lo dimostrano però i crescenti lamenti da parte degli autori, perché se gli editori tengono botta (non ci scordiamo che nel conto ci sono anche le vendite di materiali esteri, dai manga ai comics), è per sceneggiatori e disegnatori che diventa sempre più difficile vivere di fumetto.


Infatti, a parte una manciata di nomi chiamati a scrivere e illustrare serie di grande successo come il citato Asterix o Blake e Mortimer, la maggior parte dei volumi fatica a vendere un numero di copie sufficiente a ripagare i mesi o gli anni di lavoro impiegati dagli autori per realizzarli. Lo stesso Schuiten ha sì dichiarato che intende smettere di fare fumetti perché ritiene di aver detto ormai tutto quello che aveva da dire nel settore e vuole gettarsi in nuove sfide, ma dice anche che gli occorrono "tre anni per completare un progetto" e non è facile trovare chi ti finanzia tanto lavoro per un volume, e aggiunge di aver fatto a lungo in passato lo scenografo per pagarsi il lavoro d'autore: "un  lavoro che mi permetteva di ritagliarmi il tempo di creazione". E aggiunge: "Del finanziamento della creazione parliamo tantissimo tra noi autori. E' sempre più difficile farne un mestiere. Perciò, sì, questo problema mi tocca: è ancora possibile immaginare dei progetti fuori dalle serie che hanno una propria notorietà? Come si può arrivare a finanziare decentemente i necessari anni di lavoro? Nel mio caso di disegnatore realistico questo implica documentazione, ricerche... ed è estremamente complicato."


Enrico Marini afferma invece (e sorride dicendo che questo non gli procurerà degli amici) di guadagnare molto bene con la BéDé. Impiega 7-8 mesi a fare un volume, massimo un anno, ma ammette che se dovesse fare un volume di Blake e Mortimer, con tutti i dettagli che lo stile di Jacobs richiede, ci metterebbe anche lui quattro anni. E confessa che non ne avrebbe davvero la pazienza!


Il dibattito (che si è svolto in occasione della Giornata Professionale nel contesto della 24esima edizione del Rendez Vous de la BD d'Amiens) ha continuato a girare intorno a questo punto: certo, una maggiore velocità d'esecuzione migliora le possibilità di far quadrare i conti per editori e autori, ma non risolve il problema del valore del tempo di creazione. Denis Bajram taglia corto: è sempre più difficile vivere di fumetto. Le vendite calano in tutto il mondo mentre la quantità di lavoro per gli autori aumenta, non fosse che per la necessità di doversi  ormai far carico anche della promozione. E, aggiungo io, per il fatto che dovendo fornire all'editore un file pronto per la stampa, è a nostro carico anche quello che un tempo era il lavoro del fotolitista.


Marini riconosce che accelerare il ritmo può non essere la giusta risposta, e che occorre dunque fare un altro lavoro: nella pubblicità, nel campo dell'illustrazione o addirittura per il cinema. E poi scherza: "Si può anche prendere in considerazione lo strip-tease. Ma se si ama questo mestiere, servono dei sacrifici". Aggiunge Yves Schlirf, direttore generale aggiunto della Dargaud Benelux che ha pubblicato il Batman di Marini: "Il fumetto non è un mestiere in sé. Lo diventa quando si vende. Come per la letteratura: mia moglie scrive romanzi e riceve un acconto di 1500 euro. Ma se vende 1500 copie, non è che il guadagno sia straordinario".

"Ormai servirà fare un altro mestiere. Non è con i fumetti che si potrà vivere." Sarà per questo che, in Italia, le Scuole di Fumetto si moltiplicano ogni anno? E tutti i nuovi autori sfornati che andranno a fare? Apriranno altre scuole di fumetto? Nel nostro Paese, infatti, la situazione è forse peggiore che in Francia: mentre là il mercato del fumetto funziona ormai da qualche decennio come quello della letteratura e ha perciò trovato un suo equilibrio (almeno dal punto di vista degli editori), da noi fino all'altro ieri gli autori erano abituati a un rapporto para-impiegatizio: lavorando per serie che tenevano bene l'edicola, potevano produrre ogni mese lo stesso numero di pagine e garantirsi così uno "stipendio fisso". Questo è sempre meno possibile, e presto saremo costretti anche noi a contare solo sulle modalità di produzione del settore librario... ma il passaggio, che rischia di essere rapido e traumatico, potrebbe lasciare a spasso diverse centinaia di operatori.

Dobbiamo davvero preparaci a morire di fumetto?



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