Alberico Motta era nato a Monza il 6 ottobre del '37. Autore versatile, ha attraversato tutta l'epoca d'oro del fumetto popolare italiano lasciandovi il segno non trascurabile del suo multiforme geniaccio.
Già a quattordici anni si era presentato a Giuseppe Caregaro, titolare delle Edizioni Alpe, dal quale non ottenne lavoro ma utili consigli. Per l'esordio nel settore ha dovuto attendere ancora qualche anno. Nel '52, quindicenne, entra come redattore grafico part time alla Dardo dove, alternando il lavoro e gli studi di perito industriale, "sistema" tavole di altri autori, impagina e realizza titoli e inserti pubblicitari. Due anni più tardi le sue prime illustrazioni appaiono finalmente sul quindicinale per l'infanzia Cri-Cri. Comincia anche a dedicarsi alle copertine, per la rivista di racconti western El Coyote e per le raccolte de Il grande Blek.
E' l'inizio di una attività frenetica che lo vede lavorare su testate come Chicchirichì, Cucciolo, Tiramolla, Geppo, Nonna Abelarda, Tom & Jerry, Felix, Chico, la tedesca Fix und Foxy e Topolino. Quando sul finire degli anni Settanta i robottoni giapponesi invadono gli schermi dei televisori italiani, Motta si inventa Big Robot, se non l'unico prodotto similare realizzato in Italia, sicuramente il più originale e longevo, recentemente ripubblicato da Kappalab.
L'autore monzese non era un cesellatore di vignette. Non gli interessava produrre tavole ricche di particolari e "artisticamente" strabilianti. Al contrario, inseguiva la massima efficacia col minimo sforzo. Da ragazzo, uno dei fumetti che più mi attraevano e incuriosivano era Napoleone Sprint, che appariva su non so più quale testata della Alpe o di Bianconi. Il protagonista era una versione moderna del Napoleone storico alle prese coi problemi del traffico moderno. Quello che mi affascinava in quei brevi episodi era il contrasto tra i personaggi realizzati nella maniera più umoristicamente sintetica che si possa immaginare, e le automobili (Napoleone guidava una Fiat Cinquecento) realizzate invece con proporzioni e dettagli assolutamente realistici. All'epoca non sapevo il nome dell'autore di quelle strane storielle, e solo molti anni dopo scoprii che fra i tremila tipi esistenti di "trasferibili" professionali (i caratteri usati per fare i titoli, prima che il computer spazzasse via l'intero comparto industriale, così come i "puntini" che permettevano di realizzare i toni di grigio su fumetti come Diabolik, per non citare che uno dei più noti) c'erano anche dei fogli che riproducevano vari tipi di automobili. Ed ecco quel geniaccio di Alberico che, evidentemente ispirato dalla possibilità di riempire pagine e pagine di fumetti lavorando la metà ma ottenendo un prodotto di grande perfezione, si inventa il personaggio che gli permette di sfruttare al meglio questo trucco. Regalando a noi lettori un protagonista fantozziano che, alla guida della sua utilitaria, si trasforma psicologicamente in un "imperatore" della strada, prepotente e collerico. E insieme un non banale spaccato sociologico dell'Italia dell'epoca. (Qui sotto nella prima versione e in una tarda di Napoleone Sprint, col personaggio più "realistico" e l'auto - non più una Cinquecento - normalmente disegnata)
Ma Alberico non era soltanto un autore di fumetti per ragazzi, più o meno belli, più o meno conosciuti. Era piuttosto uno di quei rari autori "pensanti" sempre alla ricerca di nuove sfide, di idee che uscivano dal tranquillo corso dei fiumi dell'editoria mainstream e creavano rivi capaci di scavarsi percorsi diversi, magari tortuosi, forse destinati a fare poca strada, ma comunque ridisegnando la geografia del settore. In questo senso, il suo lavoro più personale è sicuramente la rivista SuperGames (poi diventata Supergiochi) per la Mondadori. Un prodotto editoriale totalmente ideato e realizzato da Motta che ci ha riversato tutto il suo gusto per il colore, l'inventiva per i giochi... e qualche scorciatoia (come le foto "solarizzate" per farle sembrare disegni) per fare in fretta, tanto per non perdere le buone abitudini.
All'epoca avevo avuto il pacere di conoscerlo, collaborando allo stesso studio milanese per il quale realizzava anche illustrazioni di albi da colorare per l'infanzia. Dove, abituato a lavorare con l'abituale fretta, senza documentazione e riflettendo poco su quello che disegnava, buttò giù una diligenza con la "carrozzeria" di un'automobile, intagli per le ruote compresi. Quando glielo feci notare se ne stupì. E naturalmente non si preoccupò minimamente di rifare il disegno. Come credo non abbia mai corretto il Topolino camminante che aveva disegnato con braccio e gamba avanti dallo stesso lato del corpo. Quando gli feci notare (sì, lo so, sono sempre stato un "maestrino" rompicoglioni) che quando si cammina se si porta avanti la gamba destra si porta avanti il braccio sinistro e viceversa, si stupì ancora di più: non ci aveva mai fatto caso.
Insieme abbiamo passato molte giornate allegre, e ancora più allegramente abbiamo condiviso più volte la tavola nell'intervallo del pranzo insieme agli altri collaboratori dello studio. Alberico era il classico "compagnone", capace di stare festosamente in compagnia anche coi colleghi più giovani. Se io mi sono permesso di "correggergli" un paio di errori, da lui ho avuto molto di più: vederlo lavorare in redazione era una continua fonte d'apprendimento. Conosceva tutti i passaggi tecnici della preparazione di un giornale, e li svolgeva con pari rapidità ed efficacia. Mi sono tornati tutti utilissimi quando, qualche anno più tardi, mi sono improvvisato editore.
Dopo che ho interrotto la collaborazione con lo studio, ci siamo persi di vista. L'ho risentito qualche anno fa, "ritrovato" su uno dei tanti social che collegano le persone in tutto il mondo (credo si trattasse di LinkedIn, in questo caso). Ci siamo scambiati un paio d'email; ho così scoperto che da qualche tempo si occupava soprattutto di pubblicità con un'agenzia che aveva aperto col figlio, poi siamo tornati alle nostre occupazioni quotidiane e non ci siamo più sentiti. Oggi ho saputo che, all'età di 81 anni, se n'è andato per sempre.
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