sabato 20 aprile 2024

Il Fumo delle colpe


Nascevano gli anni novanta, e vedevano me e altri quattro soci (Paolo Di Pietrantonio, Bruno Dettoni, Leonardo Binato e Francesco Conchetto) affrontare un'impresa non da poco: portare in edicola, con quattro soldi di capitale iniziale, una rivista che riuniva la defunta fox trot! e la claudicante Fumo di China, entrambe carenti prima di tutto di collaborazioni.
La nuova testata si presentava col logo rinnovato da me e Francesco (per gli amici e in arte semplicemente Conc) della fin lì fanzine/prozine gestita da Franco Spiritelli che, solo in un triangolo in alto a sinistra, richiamava anche l'esperienza della rivista di fumetti pubblicata negli anni precedenti insieme al citato Paolo e Stefano Casini.



Col viatico di Sergio Bonelli che ci aveva introdotti alla A. & G. Marco garantendoci la miglior distribuzione disponibile all'epoca, ci affannavamo a riempire quelle poche pagine d'una rivista di grande formato (quel 24x33 partorito ai tempi di Prova d'Autore e mai più abbandonato) che si occupava principalmente di informazione e critica sui fumetti ma ospitava anche brevi storie autoconclusive e strisce umoristiche.
Per gli articoli, all'inizio molti erano scritti dallo stesso Spiritelli che si celava dietro vari pseudonimi, finché "l'autorevolezza" della presenza in edicola non cominciò ad attirare nuove offerte di collaborazione. Per i fumetti, nei primi numeri ci eravamo arrangiati producendone in casa e raccogliendo in amicizia materiali da qualche collega. Io mi inventai un episodio ambientato nella Mosca dopo il crollo del muro di Berlino facendola interpretare a personaggi ispirati a Walther Matthau e Glenda Jackson; Stefano Casini disegnò una storia su testo del sottoscritto che aveva invece per protagonisti John Wayne e Madonna e un'altra da autore completo ambientata nell'Africa coloniale.




Non so per quali strade ci arrivarono anche una storia di Salvagnini/Cavazzano e un'altra di Rinaldi & Rinaldi.
Il Conc, che curava grafica e colori delle copertine, si era imposto de facto come art director della rivista, e nei primi agitatissimi tempi (ci muovevamo abbastanza a tentoni, ritagliandoci il tempo per far uscire la rivista in mezzo ai nostri altri impegni professionali) mi "obbligò" a effettuare alcuni interventi sui materiali che ci arrivavano. Uno riguardò la pubblicità in quarta di copertina del felsiniano Dylan Dog Horror Party per la quale ci era stata inviato (da chi? Probabilmente Roberto Ghiddi) un disegno, mi pare, di Castellini "scarabocchiato" su un tovagliolo di ristorante. Francesco lo "bocciò": impubblicabile, e mi spedì alla Bonelli a pietire un qualsiasi disegno dell'Indagatore dell'Incubo un po' più "professionale". Sergio borbottò giustamente che se si doveva guardare alla qualità, l'intera rivista non è che brillasse per bellezza grafica. All'epoca si impaginava ancora su carta incollando le strisciate di testo fotocomposto e tirando le linee di divisione manualmente o con gli appositi trasferibili Letraset, e le pagine erano davvero spartane. Comunque mi fece dare uno splendido disegno di Angelo Stano, e il giornale andò in stampa.
Conc intervenne anche sulle due storie succitate. Secondo lui non funzionavano, e mi "costrinse" a correggerle/riscriverle. Di quella di Cavazzano credo di aver realizzato pure il lettering sulla base del testo "risistemato". Se penso quanto odio che qualcuno metta mano sulle cose che scrivo, quando sono da me firmate, mi vergogno come un ladro per gli interventi effettuati su quei racconti, ma era un momento strano in cui si lavorava con grande agitazione e confusione. Per fortuna poi Conchetto (che nel periodo iniziale usava una stanza della redazione come camera d'albergo) chiamò a Milano la famiglia e si trasferì in un appartamento e i suoi "interventi" vennero automaticamente meno, così che nessuno mise più mano a tutte le storie dei nuovi autori che Fumo di China/Foxtrot, nell'opera di scouting che si era trovata automaticamente a svolgere, aveva cominciato a portare alla ribalta, dalla Vinci a Enoch, a Chendi, a Leandri, alla coppia Memola-Marzìa e altri.






La "colpa" commessa nei confronti del lavoro di Salvagnini è riaffiorata in questi giorni in occasione dell'uscita del volumetto della Cosmo dedicato a Smalto & Jonny che ospita (finalmente nella sua versione originale) anche il racconto di cui abbiamo parlato.


Sono contento che l'editoria offra spesso una seconda chance a storie che per un motivo o l'altro hanno subito in passato qualche torto, e colgo l'occasione per cospargermi il capo di cenere e chiedere scusa a Salvagnini per la manomissione perpetrata a suo tempo. 








  

4 commenti:

  1. Testimonianza preziosa come sempre, ma da quello che ho capito io la versione Cosmo è ancora quella modificata: si fa ossessivamente menzione della Cold Cola che in origine non c'era.

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    1. Confermo. In realtà non è stato possibile ripristinare il testo originario, nonostante Salvagnini mi abbia mandato la sceneggiatura, perché avremmo dovuto riletterare tutta la storia.

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    2. Potrebbe costituire un bell'extra per i prossimi numeri della collana, ma mi rendo conto che la sceneggiatura deve essere piuttosto corposa. Almeno togliersi la curiosità di sapere cosa dicevano in origine i personaggi, però...

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    3. Dopo poco più di trent’anni riesco a sapere come sono andate le cose e posso togliere questo dal file dei misteri insoluti. Accetto volentieri le scuse e capisco la situazione, ma per me all’epoca fu una grossa delusione, anche perché arrivata dopo un’odissea editoriale piuttosto travagliata. Magari nei prossimi giorni pubblicherò sul mio blog i dialoghi originali, per chi avrà voglia di fare una collazione. Confermo comunque che la storia e il suo significato non sono stati alterati e questo è già qualcosa.

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