Correva l'anno 1959. Benito Jacovitti, dopo quasi vent'anni trascorsi sulle pagine de il Vittorioso che l'hanno fatto conoscere e reso popolarissimo a più d'una generazione di giovani lettori, è approdato da un paio d'anni al concorrente il Giorno dei Ragazzi dove ha già imposto due personaggi del calibro di Cocco Bill e Tom Ficcanaso. Accanto ai suoi pezzi da novanta, l'autore termolese affianca altri character e storie di più corto respiro nelle quali continua a riversare la sua scatenata, apparentemente inesauribile fantasia e follia grafica.
Uno di questi è il pirata Gamba di Quaglia, scorridore dei mari che, persa una gamba nell'affettar maldestramente salami (e che altro, se no?), se l'è vista sostituire dall'originale chirurgo di bordo con una - appunto - di quaglia. La divertente avventura è uno one shot: il personaggio non tornerà mai in altre storie di Lisca di Pesce. Con lui finisce nel dimenticatoio anche il suo equipaggio: il mozzo Cartuccia, il cuoco Barbacotta, lo stiratore di vele Arcipeppe, il gabbiere Peter Gancio, lo psicopatico (ma all'epoca viene qualificato con un bonario "cattivaccio") Pape Satan e il Nonnomo.
Quest'ultimo, una specie di matusalemme su sedia a rotelle dalla lunga barba bianca e la vitalità di un ventenne, alterna fendenti con la sua spada di legno a ricordi delle sue esperienze passate. Passatissime, per meglio dire: non solo si professa autore della sconfitta della Grande Armada spagnola, ma sostiene di aver partecipato alla battaglia di Zama prendendo a sciabolate Annibale.
Vi ricorda nessuno?
Basta guardare la vignetta in apertura di questo post per capire che, senza ombra di dubbio, il Nonnomo è l'antesignano fatto e finito dell'alanfordiano Numero Uno.
Che si tratti di una mera somiglianza dovuta al caso è decisamente improbabile: non solo Luciano Secchi ha sempre dichiarato il suo amore per Jacovitti, ma ha pubblicato proprio l'avventura di Gamba di Quaglia in un supplemento della rivista Eureka che dirigeva per l'editore Corno, e l'apparizione del Numero Uno avviene sul n. 11 di Alan Ford, uscito appena il mese prima del supplemento "Eureka Seltz" che ospita la storia piratesca di Jac. Le tavole di "Gamba di Quaglia" erano dunque in redazione, nei mesi in cui Bunker/Secchi si "inventa" il personaggio che riuscirà rapidamente a imporsi come primo co-protagonista del biondo agente segreto, strappando spesso la ribalta al titolare della testata.
Possiamo dunque parlare di plagio?
Sicuramente no. Questo è uno di quei casi in cui un autore intravede in un personaggio o una situazione inventati da un autore precedente tutte le potenzialità che il creatore primigenio non ha saputo vedere o ha comunque trascurato giacché per lui rappresentava solo un aspetto secondario dell'opera.
Non è certo la prima volta che questo succede. Uscendo dal mondo del fumetto per approdare a quello della grande Letteratura mondiale, non può sfuggire come il meccanismo sia presente e si sviluppi attraverso ben tre capisaldi della poesia classica.
Partiamo da Omero che, narrando il periglioso ritorno di Ulisse a Itaca dopo la distruzione di Troia, nell'Odissea spedisce il suo personaggio nell'Ade, dove incontra la madre, i guerrieri che ha conosciuto e l'indovino Tiresia che gli profetizza il rientro a Itaca solo dopo molte traversie.
Quando Virgilio, per guadagnarsi la riconoscenza del suo "finanziatore" Ottaviano si mette a scrivere l'Eneide, ha un solo scopo: dimostrare con la sua poesia che l'attuale imperatore discende dell'eroe troiano di cui racconta perciò la fuga da Troia in fiamme col vecchio padre Anchise e il figlioletto. Per costruire il suo poema, Virgilio attinge a piene mani alle opere omeriche, "ricalcando" quasi spudoratamente l'Odissea nella prima parte della sua opera e l'Iliade nella seconda. In questo "copia-incolla" poetico (sto scherzando, chiaramente) non trascura la discesa dell'eroe nell'Oltretomba. Ma ci mette, e ampiamente, del suo delineando una struttura dell'Inferno con guardiani e dannati che era sostanzialmente assente in Omero.
Immagino che Dante Alighieri, leggendo l'opera del maestro che non a caso sceglie poi come guida per la propria discesa nei regni dell'Aldilà, sia rimasto molto colpito da quello che per Omero (che il fiorentino però non ha mai letto) prima e Virgilio poi era solo un breve e tutto sommato ininfluente episodio dei loro poemi. E quando si tratterà di metter mano alla sua opera in volgare, un po' pamphlet politico, un po' trattato teologico, un po' enciclopedia del sapere medievale, troverà in quel racconto di viaggio oltremondano la cornice perfetta per il suo capolavoro. Preso dunque il breve capitolo virgiliano come fosse creta quasi informe, la modellerà, la plasmerà, la svilupperà e, col suo genio, la trasformerà in un capolavoro che trascende e supera l'opera da cui aveva tratto ispirazione.
Lo stesso - e torniamo alle nostre amate nuvolette - è successo col Nonnomo e il Numero Uno. Jacovitti è un genio incontenibile che riversa nelle sue storie e vignette idee, trovate e personaggi che escono a getto continuo e in modo quasi incontrollato dalla sua fervida fantasia. A entrare nel dettaglio della sua produzione, chissà quanti personaggi minori o appena abbozzati, ma capaci (se sviluppati) di vivere da protagonisti troveremmo. Il Nonnomo è uno di questi. Come un novello Popeye (di cui, e qui torniamo alla circolarità di idee e letture, l'autore termolese era grande estimatore) che si fa largo a suon di cazzotti tra i protagonisti del Thimble Theatre (Teatro del Ditale) segariano e li prevarica e mette tutti in secondo piano, il Nonnomo avrebbe potuto diventare il titolare di chissà quante avventure, grazie anche alla sua possibilità di vivere in tutte le epoche che racconta di aver attraversato. Ma Jacovitti non lo fa. Altre mille idee, una migliore dell'altra, lo portano nello spazio di Microciccio Spaccavento, nel regno favolistico di Tarallino o nella cosa, la California di Zorry Kid.
E' Luciano Secchi, invece, a vedere le grandi potenzialità del personaggio. Così lo fa suo e, novello Alighieri, lo mette al centro della sua opera più fortunata e duratura rafforzandola narrativamente e, con tutta probabilità, anche sul fronte delle vendite e del gradimento dei lettori.
Onore al genio di Lisca di Pesce, dunque, ma riconoscimento al merito per il grande acume e lungimiranza di Luciano Secchi/Max Bunker che, affiancato dal talento grafico (e non solo) di Roberto Raviola/Magnus ha saputo dare al Nonnomo tutto lo spazio che meritava.
Nota finale: la su riportata ricostruzione della nascita del personaggio, naturalmente, per quanto supportata da dati di fatto e "pesanti" coincidenze, resta comunque soltanto un'ipotesi. Aggiungo in chiusura che Secchi, relativamente al Numero Uno, ha dichiarato in una recentissima intervista che "è l’unico del gruppo che è totalmente d’invenzione. Il Conte Oliver è un nobile decaduto, il Bob Rock è la caricatura della caricatura, la Cariatide è il pigro per eccellenza, Numero Uno invece non è paragonabile a niente e nessuno, non è uno stereotipo".
Se la mia ipotesi è fondata, questo sarebbe un bel riconoscimento del genio di Jacovitti.
Standing ovation per la sua analisi, che credo veritiera e totalmente condivisibile
RispondiEliminaCondivido anche io la analisi. Il genio è nella rielaborazione, nel cercare la monetina nell'angolo più lontano, dove è più improbabile sia caduta e dove non arriva la luce del lampione. Anche Amleto discende da una oscura leggenda di un principe che si finge pazzo perché lo sottovaluti l'assassino del padre e re, ma è Shakespeare a farne il dramma forse più aperto alle interpretazioni ( secondo Roberto Recchioni il concept di Dylan Dog prende anche da qui ndr ).
RispondiEliminaGeremia , per esempio , a mio modo di vedere è il Capannelle de I Soliti Ignoti.